Quella svolta che la Borsa ancora attende dalle banche
In mezzo a tante differenze, c’è un chiaro elemento in comune tra le vicende correnti di Monte Paschi e UniCredit: per entrambe le banche si avvicina il redde rationem, il momento della verità sul passato da cui può partire la svolta per il futuro. È quello che la Borsa vuole, per il bene loro e di tutto il settore. Una svolta considerata addirittura prioritaria rispetto alla possibile nazionalizzazione di Siena, destinata a essere per forza di cose transitoria e comunque preliminare al ritorno sul mercato di una banca finalmente risanata, cioè alleggerita di quel carico di sofferenze con cui non potrà mai andar lontano.
C’è anche questo dietro al balzo del 3,69% del Monte di ieri: che siano i privati o lo Stato a metterci i soldi, entro la fine dell’anno la banca verrà ricapitalizzata quanto occorre per cedere sul mercato i suoi 27 miliardi di sofferenze, e il mercato è questo che vuole sentirsi dire. E lo stesso atteggiamento si può vedere intorno a UniCredit: da mesi il neo consigliere delegato, Jean Pierre Mustier, ha avviato una revisione strategica che con ogni probabilità - lo scopriremo oggi - porterà con sé il più grande aumento di capitale mai visto per una banca italiana, stimato in 13 miliardi, più dell’attuale capitalizzazione del gruppo. Ciononostante, il titolo di Piazza Gae Aulenti non solo ha retto ma è addirittura risalito (da 1,9 a 2,6 euro) rispetto alla quotazione di luglio; per il varo della manovra ci vorrà ancora un paio di mesi, ma sembra che il mercato si stia avvicinando al d-day senza particolari ansie. Perché? Come rivelato da Il Sole, uno dei focus sarà sugli Npl, svalutati una volta per tutti a prezzi di mercato, e tanto basta agli investitori per guardare con fiducia alla manovra e soprattutto alla banca che ne verrà fuori, completamente alleggerita dei crediti deteriorati e quindi in grado di tornare a una redditività sostenibile nel tempo. Che non è poco, visto il contesto di mercato in cui operano le banche, costrette a fare i conti con tassi bassi e requisiti di capitale sempre più alti.
Ciò che sta accadendo a Mps e UniCredit vale per tutto il settore: il mercato non si accontenta più di palliativi, servono scelte forti. Anche se costose. «Avevamo molte attese sul 2016, ma ormai è chiaro che per la svolta ci sarà da aspettare il 2017», ragionava ieri un uomo d’affari della City a proposito delle banche italiane: in effetti, la cronaca di questi mesi - tra la toppa di Atlante sulle ex popolari venete, l’estenuante trattativa per la cessione domestica delle good banks, il varo del braccio volontario del fondo interbancario - dice chiaramente che le soluzioni transitorie non bastano, fanno guadagnare poco tempo pur costando molto. Serve coraggio, più di quello avuto finora (tranne rare eccezioni come BancoBpm). Da parte dei banchieri, della politica, dei regolatori. Il mercato, non sempre attento a quel che accade nel sottostante, stavolta sembra disposto a premiarlo.