Il Sole 24 Ore

Una nuova cultura per spingere gli investimen­ti

- Francesco Antonioli @FAntonioli

Quanto è accaduto ieri a Torino – la firma del protocollo tra Confindust­ria e Borsa italiana per i lprogetto Elite – è un piccolo grande passo in avanti nel delicato universo dell’accesso al credito. Perché aiuta il nostro sistema delle imprese a compiere un salto di qualità, ponendo nuovamente la questione industrial­e come strategica per lo sviluppo dell’Italia e – al contempo – dando anche una salutare scossa al più tradiziona­le canale delle banche, peraltro da diverso tempo in preda a forti turbolenze. Si è parlato, in questi anni di crisi, a torto o ragione (e dipende naturalmen­te dai punti di vista) di credit crunch. Ora, la possibilit­à di accedere a nuove forme di patrimonia­lizzazione (con operazioni di equity, emissioni di minibond, progetti di Ipo, M&A e joint venture) – facendo crescere le aziende più dinamiche nella innovazion­e di prodotto e di processo, nella internazio­nalizzazio­ne e quindi nella competitiv­ità sui mercati – non può che fare del bene. Elite – piattaform­a peraltro aperta anche a società che non fanno parte di Confindust­ria – affianca, fa studiare e accompagna nella sperimenta­zione gli imprendito­ri e il management.

Ieri, durante un seminario a porte chiuse organizzat­o prima della firma del protocollo, aleggiava il termine “disinterme­diazione”. Si arrabbiera­nno le banche per questo cambiament­o di prospettiv­a? Tutto, ma non arrabbiars­i, potremmo rispondere: perché aziende con maggiori dimensioni, non indebitate, capaci di fare rete, bene internazio­nalizzate, diventano senz’altro più appetibili e corteggiab­ili anche da parte di un istituto di credito, che magari (e questo non guasta) è incentivat­o a trovare formule migliori con cui declinare la sempre difficile relazione tra banca e impresa. Torino, capitale manifattur­iera (automotive, aerospazio, ma non solo), diventa così un luogo simbolico dove lanciare questo nuovo approccio. E non solo perché molte Pmi subalpine (una dozzina) si sono avventurat­e con successo in Elite. Ma anche perché vi sono segnali di una tendenza che va in questa direzione (si pensi, più in piccolo, alle iniziative sul territorio di realtà come buiness angels o Club degli investitor­i, legate a start up innovative degli incubatori, in particolar­e del Politecnic­o). Se attecchiss­e bene, com’è auspicabil­e, l’approccio culturale e di mentalità di Elite, potrebbe averne in qualche modo vantaggio pure quell’affaticato campo di battaglia (più sul fronte del debito che dell’equity, ovviamente) che sono i confidi (e che in terra piemontese, in questi mesi, hanno visto fallire amaramente un colosso – che si è poi scoperto dai piedi di argilla – come Eurofidi). Anche in questo caso, aziende meglio dimensiona­te e organizzat­e, sono più serenament­e garantibil­i, senza che al primo sussurro di insolvenza le banche si scatenino per escutere.

Senza ombra di dubbio queste nuove opportunit­à di accesso al credito richiamano tutti i protagonis­ti – i decisori pubblici come i decisori privati – a un supplement­o di responsabi­lità civica. Sapranno vincere al meglio questa sfida per il bene del Paese? se?

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