Il Sole 24 Ore

Lagarde a processo per il maxi-rimborso dell’affaire Tapie

Sentenza attesa il 20 dicembre

- Marco Moussanet

pSi è aperto ieri a Parigi – nella stessa sala del Palazzo di giustizia dove nel 1793 Maria Antonietta venne giudicata per aver «dilapidato i beni della Francia» – il processo della Corte di Giustizia della Repubblica (l’istanza ibrida, politico-giudiziari­a, che si occupa dei procedimen­ti nei confronti di ministri o ex ministri) alla direttrice del Fondo monetario internazio­nale Christine Lagarde. Accusata di «negligenza» in merito alla gestione del contenzios­o tra lo Stato e il finanziere Bernard Tapie tra il 2007 e il 2008, ai tempi in cui era ministro dell’Economia del Governo guidato da François Fillon, sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy.

Quando la Lagarde arrivò a Bercy, appunto nel 2007, il “caso Tapie-Crédit Lyonnais” (il finanziere contestava la correttezz­a dell’ex banca pubblica nella vendita della società Adidas) durava ormai da circa quindici anni, con sentenze contrastan­ti. E il suo predecesso­re, Jean-Louis Borloo, aveva già immaginato il ricorso a un arbitrato privato extragiudi­ziale per porre fine alla storia, affidandon­e la gestione alc apodi gabinett oStép han eRic hard, attuale ce odi Orange (l’ex France Télécom).

La Lagarde - peraltro avvocato d’affari negli Stati Uniti, dove queste procedure erano del tutto abituali – non aveva avuto nulla da ridire, dando il proprio via libera all’operazione. Nonostante il parere nettamente contrario dell’Ape, la struttura del ministero che si occupa della gestione delle partecipaz­ioni pubbliche, secondo la quale c’era il rischio di una decisione contraria agli interessi dello Stato. E così in effetti sembra essere andata. Secondo la sentenza arbitrale, a Tapie venne riconosciu­to un indennizzo di oltre 400 milioni di euro (per l’esattezza 404), più 45 milioni a titolo di “danni morali”. Una cifra enormement­e superiore a quelle circolate fino ad allora.

Il caso si è clamorosam­ente riaperto all’inizio dell’anno scorso, quando il Tribunale ha cassato la decisione arbitrale, avviato un’inchiesta per truffa allo Stato nei confronti di alcuni dei protagoni- sti (tra cui Richard) e imposto a Tapie di restituire la somma. Parallelam­ente alla procedura giudiziari­a ordinaria, si è aperta quella nei confronti della Lagarde, che secondo la commission­e d’indagine avrebbe peccato di leggerezza (da cui la “negligenza”) prima per aver avallato la decisione di affidarsi all’arbitrato (senza peraltro verificare l’affidabili­tà degli arbitri) e poi per non aver presentato ricorso contro la sentenza.

La Lagarde - che ha ribadito di aver agito in maniera corretta «nel rispetto dell’interesse generale», pur riconoscen­do una certa disattenzi­one rispetto al dossier e scaricando sostanzial­mente la responsabi­lità su Richard – ha respinto le accuse e punta a un’assoluzion­e piena. Se ritenuta colpevole, rischia la condanna a un anno. Ma in gioco c’è soprattutt­o il suo futuro alla guida del Fondo (alla quale è stata confermata sei mesi fa e che potrebbe conservare anche in caso di lieve condanna), già scosso dalle vicende giudiziari­e che hanno coinvolto i suoi due predecesso­ri: lo spagnolo Rodrigo Rato, per questioni finanziari­e legate all’attività di banchiere, e il francese Dominique Strauss-Kahn, per lo scandalo sessuale del Sofitel.

La sentenza è prevista per il 20 dicembre.

LA VICENDA La direttrice dell’Fmi è accusata di negligenza per la gestione del contenzios­o tra lo Stato e il finanziere quando era ministro

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Il processo. Christine Lagarde

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