Le tre anime di un grande innovatore
Intellettuale e studioso, uomo delle istituzioni e maestro di diritto amministrativo
Ricordare Gabriele Pescatore non è facile. Altri lo hanno fatto molto meglio di me sugli organi di informazione: «Una personalità, la sua - ha detto Adriano Giannola - che ha marcato come pochi la storia dell’Italia repubblicana». Un irpino, nato a Serino, schivo, franco, inflessibile, aperto e leale al confronto, che ha percorso molte vie al servizio dello Stato con intenso rigore e con una esemplare capacità operativa; ancora, Sabino Cassese lo ha definito «uno dei fondatori dell’Italia moderna», un uomo che ha collaborato con la politica e che «ha sempre conservato indipendenza di giudizio e autonomia di opinione».
Tuttavia, desidero modestamente ricordarlo brevemente anch’io oggi; sento questo come un dovere per il ruolo che attualmente ricopro - quello di presidente del Consiglio di Stato – ma anche, se mi è consentito, un dovere verso me stesso e la mia storia, per l’importanza che la sua figura ha rivestito nella mia formazione.
Gabriele Pescatore è stato il presidente della Commissione che, a seguito del concorso pubblico, mi ha condotto all’ingresso in Consiglio di Stato.
Io credo che esistano tre immagini, tre manifestazioni di Gabriele Pescatore, che non si contraddicono e non si elidono, ma che si integrano a vicenda.
C’è, in primo luogo, l’intellettuale e l’uomo di studio. Gabriele Pescatore è stato, innanzi tutto, un grande intellettuale e un grande studioso: docente dal 1938 di diritto della navigazione, contribuì da artefice alla redazione del Codice della navigazione. Il Pescatore che ho conosciuto per primo è il Pescatore studioso, conosciuto appunto attraverso i suoi scritti, nei quali è possibile cogliere - sia in quelli di diritto della navigazione che in quelli di diritto amministrativo - una incredibile modernità, una capacità non di separare, ma di unire le ragioni del diritto pubblico e del diritto privato, una consapevolezza sempre crescente e quasi una urgenza di collegare continuamente le ragioni del diritto con quelle della società.
C’è, poi, l’uomo pubblico, l’uomo delle istituzioni, l’uomo che collabora con la vita istituzionale e quasi si identifica con essa. Componente dell’ufficio legislativo del ministro guardasigilli, poi capo dell’ufficio legislativo del ministero della Marina mercantile, consigliere di Stato, presidente del Consiglio di Stato, giudice costituzionale, vice presidente della Corte costituzionale, ma soprattutto, per lunghi anni, consigliere di amministrazione della Svimez, presidente della Cassa per il Mezzogiorno, di quella istituzione che, introdotta in Italia sulla scorta dell’esperienza della Tennessee Valley Authority, ha svolto, almeno all’inizio, un ruolo così importante nella storia del Paese e nel riscatto del Mezzogiorno, nel superamento, almeno fino al 1976, di quello che è stato definito il “blocco storico” italiano, e cioè la questione meridionale.
Al contrario, come ha scritto Adriano Giannola sul Sole 24 ore, «l’esperienza di Pescatore si inserisce tutta nella fase magica dello sviluppo, quando il Mezzogiorno, per la prima volta nella storia unitaria, contribuì in misura decisiva alla crescita e a realizzare il miracolo»: appunto, il cosiddetto miracolo italiano. Di una esperienza del genere, oggi, forse ci sarebbe un grande bisogno, per superare, come ha ricordato il Capo dello Stato, in occasione della scomparsa di Gabrie- le Pescatore, i nuovi problemi della questione meridionale, per ricucire quella distanza che sempre più drammaticamente e vorticosamente, separa il Sud ed il Nord del Paese. Forse oggi, come non mai, sarebbe necessaria quella che è stata definita (Giannola) la cifra autentica di Pescatore: quella del «grande innovatore» che con rigore, a fronte di contingenze sempre diverse, opera per costruire non a parole, ma nel concreto, una Italia veramente nuova.
C’è, infine, nei limiti di quanto è possibile separarlo dagli altri due, il Pescatore magistrato, prima ordinario e poi amministrativo, il Pescatore consigliere di Stato, asciutto, severo, schivo, caratterizzato nello stesso tempo da una esigenza quasi ossessiva di concretezza e dalla necessità di una visione complessiva della società e del suo evolversi, proprio al fine - come diceva lo stesso Pescatore - di scandagliare tutte quelle forme di giustizia rese necessarie a fronte del progressivo saldarsi della società con lo Stato. Per Pescatore, quel che viene prima di tutto è il rapporto continuo della società con lo Stato: è nella necessità di interpretare e attualizzare continuamente questo rapporto che sta, alla fine, il senso dell’impegno e della vicenda stessa del giudice amministrativo; quest’ultimo, infatti, «nella sopravvenienza di molte norme alla matrice sociale e culturale originari (...) nella modificazione delle ispirazioni politiche e delle stesse istituzioni, è chiamato ad adeguare alla nuova disciplina quello che di vivo rimane della vecchia trama normativa».
Emerge, qui, il Gabriele Pescatore autenticamente innamorato della giustizia amministrativa; innamorato non perché mosso da ragioni, per dir così dire, corporative, ma perché consapevole del ruolo insostituibile di essa nella costruzione della democrazia, nella pratica quotidiana dell’elaborazione, dall’interno, dell’ordinamento e delle sue ragioni. Di questa autentica “passione civile” per la giustizia amministrativa si può avere un esempio sfogliando il suo scritto introduttivo degli studi per il cen- tocinquantenario del Consiglio di Stato «il Consiglio di Stato: da Carlo Alberto ai problemi attuali», col quale è possibile cogliere spunti di fulminante modernità, riguardanti gli aspetti più vari della giustizia amministrativa; da ciò che la caratterizza sia dalla sua origine e cioè la «capacità di cogliere il vivo della società e di trasformarlo nella valutazione giuridica, tra il rigido cerchio delle leggi e le esigenze che affiorano nella realtà, che è ingovernabile se si affida ai soli strumenti normativi»; al ruolo della funzione consultiva, nel contempo garanzia oggettiva dell’ordinamento e contributo essenziale all’azione di governo soprattutto dalla costruzione del sistema delle riforme; al processo giurisdizionale amministrativo, a un tempo conquista democratica a strumento per “inseguire” il potere e controllarlo in tutte le sue manifestazioni e assicurare una tutela vera, non cartolare, dei cittadini.
In questo contesto stupisce la straordinaria modernità di alcune espressioni di Pescatore, che sembrano anticipare alcuni dei motivi che confluiranno, molti anni dopo, nell’approdo costituito dal nuovo codice del processo amministrativo: si pensi alle parole dedicate a quello che Pescatore chiama il vero oggetto del processo amministrativo, al di là dell’atto e del rapporto, non essendo il modello tradizionale utilmente utilizzabile nei casi sempre più frequenti nei quali l’interesse pubblico non esiste come valore precostituito, stabilmente fissato nell’ordinamento, ed emerge faticosamente, dall’azione dei centri organizzati dell’amministrazione; si pensi all’affermazione alla stregua della quale tutte le volte che la sostanza sociale è in gioco, il giudice amministrativo cerca di penetrarla, con la conseguenza della necessità di sentire il processo amministrativo come sindacato sul comportamento dell’amministrazione. L’autore ha anticipato la Corte costituzionale e lo stesso codice del processo amministrativo.
Gabriele Pescatore è stato, così, un grande intellettuale, un grande uomo delle istituzioni, un grande giudice; ed è questo il lascito più grande e l’esempio più alto che egli affida a tutti noi, e in particolare a tutti quelli che come lui sono impegnati nella fatica del giudicare; perché alla fine, essere contemporaneamente intellettuali, uomini delle istituzioni e giudici, costituisce il modo vero di essere Consigliere di Stato.
UNA FIGURA UTILE ANCHE OGGI L’Italia avrebbe anche ora bisogno dell’esperienza di un uomo come Pescatore per superare i nuovi problemi della questione meridionale