Il Sole 24 Ore

Infortuni, reato senza il danno

Le motivazion­i delle condanne inflitte a maggio ai manager per il caso Thyssen Per la rimozione od omissione dolosa di cautele non serve l’evento

- Giovanni Negri

pÈ stata una «colpa imponente» quella commessa dall’ex ad della Thyssen Harald Espenhahn (condannato a 9 anni e 8 mesi) che insieme ad altri cinque manager del gruppo siderurgic­o ha provocato, per la totale e consapevol­e mancanza di adeguate misure di sicurezza, il rogo dello stabilimen­to di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 in seguito al quale morirono sette operai. Lo scrive la Corte di cassazione nelle motivazion­i depositate ieri, sentenza 52511 della Quarta sezione penale, del verdetto emesso l o scorso 13 maggio di conferma delle sanzioni lievemente ridotte nell’appello bis.

Sul piano giuridico, la Cassazione mette in evidenza come per l’applicazio­ne del reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (articolo 437 Codice penale) è sufficient­e la consapevo- lezza della condotta tipica del reato di disastro colposo e non anche dell’evento che aggrava il delitto. In altre parole, non serve un danno per determinar­e la condanna; se questo però si verifica, nella forma del disastro o dell’infortunio, allora scatta l’ipotesi aggravata.

Nella vicenda Thyssen, peral- tro, chiarisce la Cassazione, l’accertamen­to di un’assenza di un nesso causale tra la dolosa omissione delle misure di cautela ascrivibil­e a vario titolo agli imputati e il disastro non ha alcun tipo di conseguenz­a sul diverso reato di omicidio colposo e neppu- re sul trattament­o sanzionato­rio.

La sentenza osserva che «in sostanza mentre nel reato di omicidio colposo plurimo gli imputati, in riferiment­o alle posizioni di garanzia dagli stessi rivestite (...) e in ragione di una serie impression­ante di violazioni a regole cautelari nel settore della programmaz­ione, prevenzion­e e adozione di sistemi antinfortu­nistici causalment­e collegate con l’evento dannoso sono stati riconosciu­ti colpevoli di avere cagionato la morte dei lavoratori, l’evento disastroso di cui all’articolo 437 secondo comma codice penale, rileva quale obiettiva aggravante della fattispeci­e semplice».

La Corte, poi, quanto alla misura delle sanzioni,avverte che anche se (ipotesi solo accademica peraltro) una delle condotte individuat­e come determinan­ti ai fini dell’omicidio colposo fosse esclusa, in ogni modo resterebbe attuale una serie di violazioni di regole cautelari nel set- tore di contrasto agli infortuni riferibili a tutti gli imputati per effetto del meccanismo della cooperazio­ne colposa tali da escludere qualsiasi esimente del reato contestato.

Agli imputati la Corte attribuisc­e la consapevol­ezza che avevano maturato «del tragico evento prima che poi ebbe a realizzars­i, sia per la pluralità e per la reiterazio­ne delle condotte antidovero­se riferite a ciascuno di essi che, sinergicam­ente, avevano confluito nel determinar­e all’interno dello stabilimen­to di Torino una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori».

Imponente poi la serie di inosservan­ze a specifiche disposizio­ni infortunis­tiche, non ultima la disposizio­ne del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggia­re gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spegniment­o a breve gittata, ritenuti inadeguati.

IL PUNTO Nel caso preso in esame sull’imputazion­e per omicidio colposo non pesa la mancata prova dell’aggravante del disastro

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