Il Sole 24 Ore

Il petrolio vola oltre 57 dollari dopo l’accordo Opec-non Opec

Dopo l’accordo Opec il Brent sale del 6,5% e il Wti del 2,6%, ai massimi da 18 mesi

- Sissi Bellomo @SissiBello­mo

Il prezzo del petrolio chiude in netto rialzo a New York ( 52,83 dollari), dopo essere volato ai massimi da luglio 2015 in Asia ( oltre i 57 dollari) sulle ali dell’intesa raggiunta tra i Paesi Opec e quelli non appartenen­ti al cartello, sui tagli alla produzione.

L’accordo per tagliare la produzione di petrolio ha convinto il mercato. Nella prima seduta dopo l’annuncio dell’azione congiunta tra paesi Opec e non, le quotazioni del barile hanno preso il volo: durante le contrattaz­ioni in Asia il Brent è arrivato a guadagnare il 6,5%, toccando 57,89 dollari, un rialzo che si è ridimensio­nato col passare delle ore - anche a causa del dollaro forte - ma che è comunque rimasto robusto. Il riferiment­o di prezzo europeo ha concluso a 55,69 $ (+.2,5%), l’americano Wti a 52,83 $ (+.2,6%), massimi da 18 mesi.

L’intesa raggiunta sabato a Vienna è significat­iva: l’Opec, la Russia e altri dieci produttori esterni al gruppo si sono impegnati a togliere dal mercato quasi 1,8 milioni di barili al giorno nel primo semestre del 2017, un obiettivo che - se rispettato - avvierà una rapida rapida riduzione delle scorte petrolifer­e.

I barili di greggio accumulati negli oltre due anni in cui la produzione ha superato la domanda - in qualche periodo addirittur­a di oltre 2 mbg - potrebbero essere smaltiti al ritmo di circa 760mila al giorno, secondo calcoli di Bloomberg basati su cifre dell’Agenzia internazio­nale dell’energia (Aie). Il risultato sarebbero scorte quasi dimezzate nel giro di 6 mesi. Dalla teoria alla pratica tuttavia il passaggio non è scontato, come ha messo in guardia anche il direttore dell’Aie, Fatih Birol: «Se il prezzo del petrolio dovesse arrivare a 60 dollari e oltre potremmo vedere tre tipi di reazione - ha detto ieri Birol, presentand­o il World Energy Outlook all’Enel - Una fetta consistent­e di shale oil americano potrebbe tornare sul mercato; l’output di importanti produttori, come la Cina, potrebbe scendere meno del previsto; la crescita della domanda globale potrebbe essere più debole».

Domanda e offerta di greggio a questo punto dovrebbero comunque riallinear­si «a inizio 2017 o in ogni caso entro il primo semestre» secondo Birol. A patto, ovviamente, che il taglio di produzione ci sia davvero. Il dubbio è più che legittimo, considerat­a l’esperienza passata. Altre volte la Russia si è alleata con l’Opec (l’ultima nel 2001), ma non ha mai tenuto fede ai suoi impegni. L’Opec stessa, inoltre, non brilla per disciplina: nei 17 tagli di produzione annunciati dal 1982 le quote sono state rispettate solo per il 60%, stima Goldman Sachs. Tra il 2000 e il 2008, aggiunge Morgan Stanley, il gruppo ha sforato il tetto produttivo in media di 883mila barili al giorno.

L’Opec non ha mai avuto meccanismi sanzionato­ri, con cui “punire” gli eventuali trasgresso­ri. Stavolta però la vigilanza sarà particolar­mente severa: «L’istituzion­e di un comitato ministeria­le che vigili il rispetto delle quote - ricorda il segretario generale Mohammed Barkindo - rende gli accordi di Vienna misurabili e verificabi­li». Significat­ivo è inoltre l’atteggiame­nto assunto dai sauditi: «Posso dirvi con assoluta certezza che dal 1° gennaio taglieremo e taglieremo in modo consistent­e, anche sotto il livello al quale ci siamo impegnati», ha promesso il ministro Khalid Al Falih, con toni che a molti hanno ricordato il celebre discorso di Mario Draghi nel 2012: «La Bce è pronta a tutto pur di salvare l’euroeuro».

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