Il mercato guarda a Trump
Vi sono due motivi per cui i mercati hanno giudicato quasi irrilevante l’apparente aggressività della Fed.Il primo è che i rendimenti dei Treasury e quelli impliciti nei future sui Fed fund scontavano già una più rapida normalizzazione della politica monetaria.
Il secondo è che i mercati, accecati in questa fase dalle suggestioni offerte dalla presunta rivoluzione economica promessa da Donald Trump, guardano molto più alla politica economica che a quella monetaria.
Il rendimento del Treasury decennale è rimasto invariato al 2,58%, ieri, consolidando il rialzo di mercoledì, dopo le decisioni del Fomc: e quel livello non è lontano dal picco relativo toccato già a inizio settimana. È vero che il titolo a 2 anni è cresciuto maggiormente in termini relativi e, all’1,27%, ossia 10 centesimi piu di martedì, è come lo s’era visto nel giugno 2009, quando ci si immaginava una forte ripresa del ciclo economico. Questo maggior balzo va messo in relazione alla prospettiva di altri tre rialzi dei tassi il prossimo anno (anzichè i 2 previsti).
Ma, se si guarda al tasso implicito dei future sui Fed fund (le scommesse del mercato sull’andamento della politica monetaria), ci si accorge che gli speculatori hanno ieri leggermente ridimensionato le attese di crescita dei tassi d’interesse per marzo 2017 e lasciato invariate quelle a 12 mesi: che, all’1,18%, sono ben sotto l’1,375% che si ricava dalla media delle indicazioni ( dots) dei singoli membri della banca centrale. Senza contare che le attuali previsioni rimangono ben sotto quelle elaborate dal Fomc nel giugno scorso (1,625%). Inoltre, non tutte le singole stime sono uguali per peso e, come suggerisce UniCredit, è dubbio che membri influenti come Janet Yellen o William Dudley (presidente della Fed di New York) abbiano mutato parere rispetto a tre mesi fa. Benchè l’analista di Pimco sostenga che la Fed stia «scommettendo sulla Trumponomics» (l’economia di Trump), non si può certo dire che nel discorso della Yellen vi siano tracce di quella suggestione che sta pervadendo il mercato per l’attesa, presunta rivoluzione economica.
E quì sta il vero punto, perchè, come sottolinea JP Morgan, in questo momento non è la politica monetaria a guidare i mercati, quanto le aspettative politiche in quel cocktail di tagli fiscali e di spesa per investimenti promessi dal neo presidente. Più alti tassi d’interesse, una forte crescita del debito pubblico o una più elevata inflazione anche a causa delle misure protezionistiche, appaiono conseguenze trascurabili. L’esuberanza di Wall Street ne è la prova.
L’unica significativa reazione alle decisioni del Fomc, sembra averla manifestata il dollaro, salito ai massimi da 14 anni. E, benchè alcuni analisti vedano la parità sull’euro nel corso del prossimo anno, vi sono motivi per credere che il rialzo del biglietto verde fino a 1,037 sia più il risultato di qualche sistemazione tecnica che la pressione di una nuova ondata di acquisti. Tuttavia è evidente che le diverse dinamiche tra le politiche monetarie della Bce e della Boj da un lato e della Fed dall’altro potrebbero rafforzare ulteriormente la valuta americana.