Il Sole 24 Ore

L’Italia che il premier porta alla Ue

- Di Lina Palmerini

Non è solo l’Italia che ha detto «no» al referendum, quella che porta Gentiloni al suo primo Consiglio Ue. È anche quella di una riforma della Pa a metà, del Jobs act su cui pende un altro referendum, di un Paese ancora senza legge elettorale.

Forse nessuno avrà fatto la domanda diretta a Paolo Gentiloni: quanto durerà il suo Governo? Ma in qualche modo sarà stata chiesta - o data - una rappresent­azione della situazione politica che si è creata, di quanto tempo ha davanti questo Esecutivo, delle cose che verosimilm­ente potrà fare. È vero che ieri sul tavolo del Consiglio Ue c’era la questione dell’immigrazio­ne - ormai al primo punto dell’agenda Ue, prima ancora dell’economia - ma negli scambi (anche tra gli staff) si sarà parlato dell’obiettivo della legge elettorale che si è dato questo Governo e, nel frattempo, della spada di Damocle di un nuovo referendum che pende su una delle riforme più apprezzate da Bruxelles.

Di certo, l’approdo del neo premier al vertice di ieri cambia completame­nte il registro dialettico delle relazioni tra Italia e Ue. Quelle minacce di veto, quegli strattoni a Juncker o alla Merkel, gli ultimatum e i duelli a distanza vanno via con la prima stagione renziana e troveranno un altro discorso pubblico con Gentiloni. Ma al di là dei toni e delle dichiarazi­oni, quello su cui l’Europa si orienterà – o si è già orientata – è sui fatti: sullo stallo nel percorso di riforme che era stata la nostra carta sul tavolo di Bruxelles e di Francofort­e.

Se si rilegge quella lettera dell’agosto del 2011 inviata a Roma, si vedrà che molte di quelle misure richieste dalla Bce sono rimaste appese: iniziate e non terminate oppure mai cominciate. La riforma della pubblica amministra­zione, quella del lavoro, la concorrenz­a. Solo le nuove pensioni restano in piedi ma con le mille deroghe degli esodati portate avanti fino a oggi, dopo cinque anni dalla legge Fornero. Quello era lo “scambio” possibile tra Italia ed Europa, il prezzo per non finire commissari­ati e che ha giustifica­to il vantaggio acquisito con il programma di quantitati­ve easing di Mario Draghi. Nei prossimi mesi sfumerà anche quello e il rischio di un nuovo picco negli interessi sul debito è concreto.

La struttura portante di questi ultimi anni traballa ma è soprattutt­o il quadro politico che presenta le incertezze di sempre. Non c'è ancora una legge elettorale e quindi è difficile - per gli osservator­i europei - capire che Italia ci sarà e quale Governo sarà possibile dopo quello di Gentiloni. È verosimile pensare che a Bruxelles puntino sulle larghe intese, data la pressione dei partiti populisti, dei 5 Stelle e della Lega che restano su posizioni nettamente euroscetti­che.

Alla luce di queste incertezze, i prossimi passi in Europa diventano più scivolosi. E la domanda è se tornerà di nuovo il rischio di un commissari­amento, l’ipotesi di un nuovo cordone sanitario intorno alla situazione del debito o anche del sistema bancario. Certo è che non solo le prossime elezioni italiane ma soprattutt­o quelle francesi - e in autunno quelle tedesche - scriverann­o uno spartito col quale l'Italia dovrà fare – di nuovo – i conti.

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