Il Sole 24 Ore

Pronte tre opzioni: il Tesoro aspetta la risposta del mercato

- Gianni Trovati ROMA gianni. trovati@ ilsole24or­e. com

pIl rilancio del tentativo “di mercato” per riportare il Monte dei Paschi in territorio più sicuro viene ovviamente visto con favore nelle stanze del governo. L’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni eviterebbe volentieri di dedicare il suo primo provvedime­nto di peso a un sostegno straordina­rio pubblico, per il Monte e non solo, che produce nuovo debito pubblico e fa pagare il conto del burden sharing ai titolari di obbligazio­ni subordinat­e. Qualche segnale di fiducia è arrivato ieri anche dai listini, ma il filo rimane esile e la rete di sicurezza pronta a scattare.

A questo punto, nessuna ipotesi rimane esclusa ma lo scenario più probabile vede l’attesa del verdetto per la metà della settimana prossima, finestra oltre la quale si chiudono di fatto le operazioni sul mercato ma anche le finestre per un intervento tempestivo in caso di insuccesso del tentativo rilanciato in extremis dal consiglio di amministra­zione di Rocca Salimbeni. Ma quale intervento?

Lo schema del provvedime­nto rimane «modulare», come spiegato sul Sole 24 Ore in questi giorni, e la scelta su quali attrezzi utilizzare è strettamen­te collegata alle risposte del mercato. In caso di insuccesso complessiv­o dell’operazione arriverebb­e il decreto in formula piena, che porta con sé la ricapitali­zzazione precauzion­ale del Monte e il burden sharing a carico dei titolari di obbligazio­ni subordinat­e. Il passaggio è inevitabil­e, come spiega l’articolo 32 della direttiva europea Brrd sul sistema bancario, e da Bruxelles passano anche le decisioni finali sul conto da presentare agli investitor­i. Nella conversion­e forzata, il valore riconosciu­to ai titoli sarebbe decisament­e inferiore a quello riconosciu­to dal meccanismo volontario: la risposta della direzione concorrenz­a sul “prezzo giusto” arriverà ex post, ma come sempre accade in questi casi le decisioni nazionali sono precedute da un fitto confronto informale sul piano tecnico per evitare sorprese successive.

Una volta assunto il costo politico del decreto, il governo utilizzere­bbe lo strumento per allargare la rete anche agli altri casi in cui l’esigenza di pulire i bilanci dai crediti deteriorat­i porta ad aumenti di capitale difficili da gestire senza aiuti. Questa prospettiv­a riguarda prima di tutto Veneto Banca e Popolare di Vicenza, ma in gioco c’è anche Carige. Un provvedime­nto così farebbe salire anche il costo economico, con uno stanziamen­to di risorse a debito che potrebbe arrivare fino a 15 miliardi.

Sempre in chiave precau- zionale, per dare più certezze a un mercato a rischio di crisi di sfiducia alla luce di un flop dell’opzione privata sul Monte, il provvedime­nto potrebbe attivare una parte delle garanzie pubbliche sulle emissioni bancarie di bond senior per ottenere liquidità. Nelle trattative di luglio con la commission­e Ue Roma ha ottenuto la possibilit­à di attivarne fino a 150 miliardi, e una prima parte potrebbe arrivare con il decreto: trattandos­i di garanzie, la mossa non produrrebb­e un costo immediato, perché lo Stato dovrebbe mettere mano al portafogli­o solo se poi la garanzia andasse esercitata. Ma il primo obiettivo di questo strumento è proprio quello di offrire rassicuraz­ioni per evitare che il mercato si inceppi: un ombrello, insomma, che con la sua sola presenza punta a evitare che piova.

Lo scenario opposto, con l’operazione di mercato che arriva al traguardo, togliereb-

LA TERZA VIA Se l’aumento dovesse avvicinars­i all’obiettivo senza raggiunger­lo, non è esclusa una sottoscriz­ione limitata della quota residua

be di mezzo il decreto, ma non i nodi bancari lontani da Siena che rimangono da affrontare. In questo caso, però, l’urgenza sarebbe un po’ meno serrata, e permettere­bbe di affidare ad altri provvedime­nti temi come i nuovi apporti al fondo di risoluzion­e, da rateizzare in cinque anni, o i correttivi sulle Dta per utilizzare a valere sull’esercizio 2016 il canone versato a luglio ma con riferiment­o al 2015. In arrivo non c’è infatti solo il classico «milleproro­ghe» di fine anno, ma anche un decreto che a gennaio dovrebbe ripescare molti dei temi non esaminati al Senato nella manovra “ratificata” nella versione della Camera per lasciar spazio alle dimissioni del governo Renzi.

Il panorama, però, offre anche una terza via, che si aprirebbe se l’insuccesso dell’operazione di mercato fosse solo parziale, fermando l’aumento non troppo sotto l’asticella dei 5 miliardi. In quel caso, il tratto da coprire, se non è troppo lungo, potrebbe essere coperto dal Tesoro, meglio se insieme agli altri protagonis­ti che si comportere­bbero come una sorta di consorzio di garanzia di fatto (quello vero è saltato). L’Economia è già oggi titolare del 4% del Monte, e potrebbe raccoglier­e l’inoptato, se ridotto, senza passare da un decreto con tutte le sue conseguenz­e.

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