Il Sole 24 Ore

Vivendi: la nostra non è una mossa ostile

I francesi cercano di rassicurar­e sulle intenzioni riguardo alla scalata in Mediaset. Nella visione di Bolloré «è molto improbabil­e la prospettiv­a di un’Opa ostile»

- Marco Moussanet PARIGI. Dal nostro corrispond­ente

Sia pure senza alcuna comunicazi­one ufficiale, Vivendi cerca di rassicurar­e anche gli ambienti politici italiani sulle proprie intenzioni nella battaglia che ha deciso di ingaggiare con Mediaset (quindi, di fatto, con Fininvest e il clan Berlusconi). «Pensiamo francament­e – dicono fonti vicine al ceo del gruppo Arnaud de Puyfontain­e – di poter essere un buon partner industrial­e e di avere un buon progetto per Mediaset e per l’Italia. Grazie in particolar­e al nostro know-how nella produzione di contenuti e alla consoli- data esperienza nel settore della tv e del cinema».

Sulla possibilit­à di contatti nel fine settimana tra le due società, nessuna conferma: «De Puyfontain­e sarà in Italia per partecipar­e alla riunione del board di Telecom (oggi a Roma, ndr) e quindi non è escluso che ne approfitti per avere qualche incontro».

Per il resto – su un ulteriore incremento della partecipaz­ione, sulla richiesta di convocazio­ne di un’assemblea straordina­ria, sulla possibilit­à che l’obiettivo sia quello di arrivare alla costituzio­ne di una sorta di minoranza di blocco, sull’eventualit­à che l’attacco si spinga fino al lancio di un’Opa ostile – la solita sequela di “no comment”. «Come ben sa, a Vivendi non siamo molto loquaci». Già. E ancor meno da quando il patron del gruppo è Vincent Bolloré. Che, per dirla con un eufemismo, sul fronte della comunicazi­one – pur essendo alla guida di un colosso dei media e della comunicazi­one – è sempre stato alquanto parsimonio­so.

I portavoce di Vivendi si limitano a rimandare al comunicato di lunedì sera (quello con l’annuncio dell’acquisizio­ne del primo 3%), dove «c’è scritto tutto quello che c’è da sapere». E cioè che i francesi sarebbero saliti fino al 20% (come in effetti è avvenuto e in tempi rapidissim­i) per perseguire «l’obiettivo strategico della creazione di un primario gruppo internazio­nale con sede in Europa per la produzione e distribuzi­one di ambiziosi programmi audiovisiv­i e per una piattaform­a televisiva globale over-the-top».

Un’altra fonte - molto vicina a Bolloré ma che precisa di parlare a titolo personale - spiega che nella visione dell’imprendito­re e finanziere bretone, «Mediaset è un passaggio vitale». E che la prospettiv­a dell’Opa ostile «pur non essendo ovviamente impossibil­e, è molto improbabil­e e non avrebbe grande senso». Tanto più che con il forte rialzo del titolo dovuta alle operazioni annunciate nei giorni scorsi, «il premio è già stato di fatto riconosciu­to». E che la situazione è radicalmen­te diversa rispetto a quella di Ubisoft, dove Vivendi ha il 25% (e più del 20% in diritti di voto) mentre gli azionisti storici della famiglia Guillemot, che cercano di resistere, sono al 12% (e il 19% dei diritti di voto). Senza dimenticar­e il rischio concreto di un veto da parte dell’Agcom, in applicazio­ne della legge Gasparri sulle concentraz­ioni nel settore.

Con l’ingresso in Mediaset, Bolloré avrebbe in realtà voluto mandare un messaggio – sicurament­e «molto forte» – a Silvio Berlusconi perché «chiarisca le strategie del gruppo, non sempre evidenti tra posizioni dei figli e del management» e per fare tutta la pressione possibile per spingerlo a un accordo (le cui condizioni verrebbero in qualche modo imposte da Vivendi). Oltre a evitare che Mediaset fosse tentata dal «gettarsi nelle braccia di qualcun altro».

UN GRUPPO INTERNAZIO­NALE «Abbiamo un buon progetto per Mediaset e per l’Italia anche grazie al nostro knowhow nella produzione di contenuti per tv e cinema»

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ITALYPHOTO­PRESS Raider. Vincent Bolloré

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