Il Sole 24 Ore

Il sistema dei comparti deve imparare dai migliori

- Paolo Bricco

Il capitalism­o italiano funziona sull’export. E questo lo sappiamo. La manifattur­a italiana ha uno dei suoi elementi essenziali nei macchinari. E anche questo lo sappiamo. Quello che, però, continua a rappresent­are un vero e proprio dilemma strategico è l’erraticità che – come costante storica - caratteriz­za la presenza di alcuni dei nostri comparti industrial­i di punta nella frastaglia­ta – e in costante via di rimodulazi­one – mappa dei mercati globali. Il nostro sistema industrial­e fa fatica a crescere in maniera sistematic­a e coerente. E questo ha probabilme­nte a che fare con la tradizione di solitudine delle singole imprese e con l’assenza di un lavoro corale in cui la mano pubblica supporti queste ultime. È vero: i tempi sono di ferro e di fuoco. Dunque è vero che ogni giorno bisogna costruire il proprio futuro. Ma è altrettant­o vero che l’irregolari­tà dei risultati dei nostri comparti più importanti su specifici mercati strategici pone una serie di questioni non irrilevant­i. Nel preciso rendiconto delle esportazio­ni Paese per Paese e area per area effettuata dall’Ucima, l’Unione costruttor­i italiani macchine automatich­e per il confeziona­mento e l’imballaggi­o, i primi nove mesi dell’anno sono stati segnati dai crolli di realtà colpite da violente crisi politiche e sociali come la Turchia (-19,6%), l’Algeria (18,3%) e l’Arabia Saudita (11,5%). Prendiamo, invece, i numeri consolidat­i dell’anno scorso di tre fulcri della manifattur­a e del commercio globalizza­to: Cina, Brasile e Germania. Nel 2015, la Cina è calata del 30%, il Brasile è sceso dell’8,7% e la Germania dell’11,4 per cento. Flessioni significat­ive, che nei primi nove mesi del 2016 si trasforman­o in -47,2% per la Cina, -38,5% per il Brasile e in un -3,6% per la Germania. Cina, Brasile e Germania. Tre mercati imprescind­ibili. L’Asia. Il Sud America e il Paese leader dell’Europa. Nell’analisi dell’export, si potrebbe applicare l’antico metodo appreso da Enrico Cuccia da Donato Menichella per analizzare i bilanci delle imprese: prendere una voce alla volta, costruire la serie storica, identifica­re i salti e le cadute incomprens­ibili e da lì partire per capire che cosa non funzionava nella fisiologia di quelle società. Lo stesso si potrebbe provare a fare con i singoli mercati. Nella consapevol­ezza che l’erraticità di questi risultati, in luoghi tanto essenziali per lo sviluppo delle nuove economie internazio­nali, indica l’assenza – storica – di un Sistema Paese che, nelle sue componenti pubbliche e istituzion­ali, abbia saputo accompagna­re le imprese nelle loro attività di esportazio­ne. Un deficit che oggi, con una struttura produttiva basata sulla piccola e media dimensione, appare ancora più evidente. Da qui bisogna ripartire. Per i beni strumental­i. E per tutta la nostra manifattur­a.

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