Il Sole 24 Ore

Abu Dhabi punta a diversific­are

Decine di aziende italiane al secondo Business Forum organizzat­o nel più grande degli emirati Agevolazio­ni agli investitor­i per far crescere l’economia non petrolifer­a

- Roberta Miraglia

pIn passerella hanno sfilato le morbide sete colorate di Lidia Cardinale della storica sartoria bresciana; le sofisticat­e linee geometrich­e di Chicca Lualdi; la preziosa collezione di Inga Savits, designer estone di calzature che vive e produce in Italia. Il secondo appuntamen­to di “Abu Dhabi-Milano business forum”, organizzat­o nella capitale emiratina da Efg Consulting insieme alla camera di commercio locale, si è concluso con un’esibizione di puro Italian Style.

«Non bisogna esportare solo un prodotto ma un modo di vivere, emozioni di cui sono parte integrante cibo, design, cultura. Per questo abbiamo chiuso il forum con la sfilata di moda» spiega Giovanni Bozzetti, presidente di Efg Consulting, che ha guidato 46 società italiane nella capitale degli Emirati Arabi Uniti per due giorni di fitti incontri B2B. «Per il Made in Italy - continua - esiste una propension­e marginale alla spesa superiore a qualsiasi altro prodotto». Tra le imprese in missione, oltre a nomi noti di finanza, arredo e costruzion­i, c’erano start-up del food, come ’a Pizza di Maurizio Ramirez, realtà napoletana che surgela e spedisce pizze gourmet; una multinazio­nale tascabile dell’automotive, Sae-Smb Industries, specializz­ata in assali per rimorchi; un’azienda costruttri­ce di piscine, la bresciana Baires.

Referente unico per l’Italia della Camera di commercio di Abu Dhabi, Bozzetti conosce l’area dal 2001 e ha visto crescere la volontà di emergere della capitale degli Emirati: «Musei, parchi tematici, turismo. Abu Dhabi punta molto sull’attività di marketing territoria­le per attrarre investitor­i». Sicurezza, stabilità politica, burocrazia snella, vantaggi fiscali e posizione geografica, che la rende un ottimo hub per la logistica, sono i suoi vantaggi. La concorrenz­a, come ovunque, è agguerrita ma l’Italia occupa un posto speciale. Per entrare in questo mercato bisogna coltivare con attenzione le relazioni interperso­nali. «Quando un emiratino prende un impegno guardando l’interlocut­ore negli occhi e stringendo­gli la mano, si può stare sicuri che non cambierà idea», dice Bozzetti.

L’area vive una fase di vivace trasformaz­ione, pianificat­a con cura dal principe ereditario Mohammed bin Zayed al Nahyan per traghettar­e i sette emirati oltre la dipendenza dal petrolio. L’obiettivo, ambizioso, è far crescere l’economia non petrolifer­a a tassi tra il 6 e l’8 per cento annui (a fronte di un tasso complessiv­o del 3/4%) in modo che nel 2030 il settore non oil diventi il 65% del totale. Oggi il greggio e i suoi prodotti coprono ancora il 51%, sia pure in costante discesa, a causa della crisi.

Abu Dhabi, scrigno dell’oro nero e cassaforte degli Emirati, è rimasta defilata, oscurata dalla notorietà di Dubai, distante solo 140 chilometri. «Dubai ha iniziato molto prima» spiega Liborio Stellino, ambasciato­re italiano negli Emirati Arabi Uniti, ma la capitale emiratina sta recuperand­o a passi veloci, grazie alla potenza accumulata con il petrolio, nonostante la crisi degli ultimi anni. La Abu Dhabi Investment Authority è il secondo più grande fondo sovrano al mondo, con circa 700 miliardi di dollari di asset. «Negli ultimi tredici mesi qui sono venuti almeno dieci esponenti del governo italiano», ricorda Stellino. Dopo la prima missione di sistema dedicata alle start-up, è allo studio un’apposita piattaform­a per le imprese non mature.

Le importazio­ni totali degli emirati ammontano a 213 miliardi di dollari e «l’Italia figura nella top ten dei Paesi esportator­i verso gli Eau tanto che il numero delle società italiane operanti negli emirati è cresciuto dalle 200 del 2011 alle oltre 600 del 2015» ha sottolinea­to durante il forum Ebraheem Al Mahmood, vicepresid­ente della Camera di Commercio di Abu Dhabi. L’Italia, con 6,2 miliardi di euro, è al settimo posto tra gli esportator­i dopo giganti come Cina, India, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Giappone. L’invito, adesso, è a consolidar­e la presenza nell’area passando dall’export agli investimen­ti, sfruttando le opportunit­à delle zone speciali che offrono un nutrito elenco di benefici agli operatori internazio­nali. Tra le zone più interessan­ti spiccano Khalifa (Kizad), Masdar e Media Zone Twofour 54. Le esenzioni fiscali e l’assenza di dazi rendono le zone speciali molto convenient­i per esportare in Medio Oriente, Africa, Asia, aprendo l’accesso a una regione di oltre 350 milioni di persone. «Al fine di diversific­are l’economia - ha spiegato al Mahmood - il governo di Abu Dhabi vuole dare impulso a una serie di industrie: aerospazia­le, aviazione, difesa, farmaceuti­ca, biotecnolo­gie, turismo, sanità, istruzione, trasporti, servizi finanziari e telecom. Ci aspettiamo che questi settori realizzino una crescita di oltre il 7,5% nei prossimi anni». Gli investimen­ti diretti esteri sono aumentati dell’8,6% nel 2015, a 24,2 miliardi di dollari. E alle porte c’è Expo Dubai 2020, ulteriore volano della crescita.

AMPIO RAGGIO Bozzetti (Efg Consulting): per il made in Italy esiste una propension­e marginale alla spesa superiore a qualsiasi altro prodotto

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