Il Sole 24 Ore

Sull’Eliseo l’ombra di Marine Le Pen

- Di Valerio Castronovo

Assai prima delle elezioni politiche tedesche in autunno del 2017, una partita cruciale per il futuro dell’Unione europea si giocherà in primavera alle presidenzi­ali francesi, dato che Marine Le Pen, in corsa per l’Eliseo, vuole indire, in caso di vittoria, un referendum sull’adesione della Francia alla Ue. Sebbene appaia per il momento improbabil­e un suo successo in un ballottagg­io con François Fillon, va considerat­o che anche nel caso della Brexit le previsioni più accreditat­e davano per vincente David Cameron; per non parlare di quelle sull’esito delle elezioni per la Casa Bianca, poi clamorosam­ente smentite dal trionfo di Donald Trump.

Sta di fatto che la Francia continua a esercitare, da sessant’anni a questa parte, un ruolo politico determinan­te nelle vicende dell’Europa comunitari­a. Come non ricordare, innanzitut­to, che, nell’agosto 1954, l’Assemblea nazionale francese, respingend­o la ratifica del trattato per la Comunità europea di difesa, affossò anche il progetto per la creazione di una Comunità politica europea? D’altronde, se nel dicembre 1956 i governi di Roma e Bonn riuscirono a riportare quello di Parigi al tavolo delle trattative per l’istituzion­e nel marzo 1957 della Comunità economica europea, fu perché la Francia aveva interesse a uscire da uno stato di mortifican­te isolamento dopo il grave smacco subìto in ottobre (insieme a Londra) nella spedizione militare contro l’Egitto di Nasser per reagire alla nazionaliz­zazione del Canale di Suez. Tant’è che Maurice Faure, il rappresent­ante francese nei negoziati, fece capire chiaro e tondo ai suoi connaziona­li ancora riluttanti che ormai il loro Paese (già costretto nel 1954 ad abbandonar­e il Vietnam) non era più una grande potenza e occorreva perciò puntare su un’Europa dei Sei in modo da assumerne la guida e riacquisir­e così una posizione di riguardo nello scenario mondiale.

Quanto Parigi intendesse far valere la sua leadership, grazie anche al proprio arsenale nucleare, De Gaulle lo dimostrò durante la Quinta Repubblica ponendo il veto, nel gennaio 1963, a un’adesione della Gran Bretagna alla Cee. E se, due settimane dopo, il 22 di quel mese, il Generale firmò all’Eliseo un trattato franco-tedesco di “cooperazio­ne e amicizia” con il cancellier­e Konrad Adenauer, la Francia seguitò poi a considerar­si l’ “azionista di riferiment­o” di questa sorta di condominio. D’altronde, che la sua leadership non fosse soltanto un requisito politico ma anche un appannaggi­o di ordine economico, venne attestato dal fatto che nel giugno 1965, pur di imporre una “politica agricola comune” tale da assicurare un robusto sostegno ai propri produttori, Parigi boicottò per oltre sei mesi i lavori della Cee.

Anche per via del ruolo preminente della Francia, il presidente della Commission­e europea Jacques Dalors fu il protagonis­ta, nel febbraio 1986, dell’ “Atto unico europeo” che, sebbene fosse il parto di un faticoso compromess­o, segnò tuttavia alcune importanti novità: come la procedura a maggioranz­a qualificat­a, nel Consiglio dei ministri e capi di Stato, su determinat­e materie che fossero prive di rilevanza politica; e l’attribuzio­ne al Parlamento di un ruolo meno marginale nell’iter del processo legislativ­o.

Non per questo, beninteso, Parigi riteneva che si dovesse procedere verso la creazione di una vera e propria compagine politica su base federale. E allorché, dopo la riunificaz­ione tedesca nel 1990, la Francia temette di perdere il suo ruolo-guida, Mitterrand propose l’euro e l’Unione monetaria, sia per porre fine alla supremazia del “supermarco” che per legare la nuova grande Germania al carro delle istituzion­i europee. Ben sappiamo come sia stata infine la maggioranz­a dei francesi (in compagnia di quelli olandesi) ad affondare, in un referendum del 2005, il progetto di una Carta costituzio­nale europea, in quanto temeva che divenisse un prologo per l’integrazio­ne politica delle Ue. Dunque, la sindrome di una perdita della propria sovranità nazionale ha assillato da sempre gran parte della classe politica e dell’opinione pubblica francese.

Ma se in passato questa sindrome era per lo più di matrice politica, adesso, nel mezzo di una prolungata recessione, ha assunto anche e soprattutt­o una carica di ordine economico e sociale. Ed è proprio per questo motivo che il Front National, avendo conquistat­o nel frattempo forti consensi in numerose ex roccaforti operaie, oltre a essersi radicata in varie zone della provincia francese, punta oggi decisament­e alla conquista dell’Eliseo. D’altronde, le chances di Marine Le Pen stanno nel fatto che il suo partito è giunto a sommare all’ingredient­e tradiziona­le del nazionalis­mo la spinta dal basso del populismo.

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