Petrolio, la Libia mette a rischio i «tagli» dell’Opec
Produzione in ripresa anche in Nigeria
pL ibia e Nigeria, che l’Opec ha esonerato dal partecipare ai tagli di produzione, rischiano ora di mandare a gambe all’aria gli accordi faticosamente raggiunti dall’Organizzazione, in alleanza con la Russia e altri dieci fornitori di petrolio esterni al gruppo. I due paesi, che avevano subito un crollo delle estrazioni di greggio, stanno recuperando i n fretta. Forse troppo in fretta dal punto di vista degli altri produttori, che dovranno ora sopportare sacrifici ancora più pesanti per rispettare i piani, col rischio di perdere l’appoggio - già precario - dei paesi non Opec.
È in gran parte responsabilità di Libia e Nigeria se la produzione Opec in novembre è salita a 33,87 milioni di barili al giorno. Per arrivare al tetto di 32,5 mbg agli altri membri del gruppo non basta più tagliare 1,2 mbg, come inizialmente previsto: il “gap” è già salito a 1,37 mbg ed è probabile che salirà ancora.
La Libia in particolare sta riavviando due importanti giacimenti: Sharara, il più grande del paese, che era fermo da novembre 2014, e El Feel (o Elephant), in cui ha una quota l’italiana Eni, che era chiuso da aprile 2015. Insieme i due giacimenti hanno una capacità di 450mila barili al giorno.
Nello stesso tempo sta tornando in attività El Sider, il maggiore terminal petrolife- ro libico, i n Cirenaica, che non operava dalla fine del 2014: la petroliera Seamusic oggi caricherà 630mila barili diretti, secondo fonti Bloomberg, in Italia.
Il porto era stato riconquistato tre mesi fa dall’Esercito nazionale di liberazione del generale Khalifa Haftar, insieme a quelli di Zuetina e Ras Lanuf, dai quali era immediatamente ripartita qualche spedizione (si veda il Sole 24 Ore del 16 settembre). Il controllo dei termi- nal e la riunificazione della National Oil Company (Noc), ora riconosciuta sia da Tripoli che da Tobruk, hanno già permesso alla Libia di raddoppiare da settembre la produzione di greggio, superando quota 600mila bg. L’obiettivo dichiarato è di arrivare a 900mila entro fine anno e il traguardo sembra improvvisamente possibile.
Le Guardie petrolifere libiche, fazione militare schierata con Tripoli, hanno accettato - dopo lunghi negoziati con la Noc - di sbloccare un oleodotto che collega Sharara ed El Feel alla raffineria di Zawiya e al ter- minal di Mellitah. «La valvola di Rayana, chiusa dal 2014, è stata riaperta mercoledì» ha dichiarato un portavoce delle Guardie. Il giacimento in cui opera l’Eni ha potuto quindi riavviare la produzione, anche se fonti del Sole 24 Ore riferiscono che la situazione dal punto di vista della sicurezza è ancora molto precaria e ci sono alte possibilità che presto si sia costretti a un nuovo stop.
In Nigeria intanto la produzione di greggio si è riportata «vicino a 1,8 milioni di barili al giorno». L’ha dichiarato ieri il ministro del Petrolio Emmanuel Ibe Kachikwu, poco prima di siglare l’accordo per ripagare 5,1 miliardi di dollari di debiti con le compagnie straniere che operano nel paese: la stessa Eni, Royal Dutch Shell, ExxonMobil e Chevron. L’output del paese africano era crollato da un picco di 2,2 mbg fino a un minimo di 1,4 mbg in maggio, per poi risalire. In novembre, secondo fonti secondarie citate dall’Opec, era di 1,692 mbg.
Le novità da Libia e Nigeria hanno contribuito a spingere in ribasso le quotazioni del petrolio, già sotto pressione per il rafforzamento del dollaro. Ma il barile in seguito ha recuperato, col diffondersi della notizia di tagli più pesanti del previsto ai programmi di carico dal Kuwait. Il Brent ha chiuso con un +0 , 2 2 % a 5 4 , 0 2 d o ll ll aa rr ii .
SACRIFICI PIÙ PESANTI I due produttori sono stati esentati dall’impegno a ridurre le estrazioni Se il loro output recupera gli altri dovranno compensare