Il Sole 24 Ore

Irap dei piccoli, niente sanzioni se c’è incertezza

- Laura Ambrosi

pNiente sanzioni sulla pretesa Irap al profession­ista, in quanto solo recentemen­te le Sezioni unite hanno risolto vari aspetti per anni risultati incerti sull’applicazio­ne della normativa. Di conseguenz­a il giudice tributario può legittimam­ente disapplica­re la sanzione. Ad affermare questo principio è l’ordinanza 25853/2016 della Corte di cassazione depositata ieri.

Un commercial­ista ha ricevuto una cartella derivante dal controllo automatizz­ato con la quale era richiesta l’Irap, oltre interessi e sanzioni calco- lata sul reddito profession­ale dichiarato.

Il provvedime­nto è stato impugnato dinanzi al giudice tributario che in primo grado confermava l’illegittim­ità della pretesa erariale. Il collegio di appello, invece, ha riformato integralme­nte la decisione rilevando che il profession­ista non aveva fornito la prova dell’assenza del presuppost­o impositivo.

Il contribuen­te ha presentato ricorso in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’omessa pronuncia da parte della Ctr sull’irregolari­tà della procedura automatizz­ata utilizzata dal- l’Ufficio, sul rigetto delle prove fornite con il ricorso introdutti­vo ed anche sulla richiesta di disapplica­zione delle sanzioni.

La Suprema corte ha ritenuto fondata solo la doglianza in tema di sanzioni. I giudici di legittimit­à hanno innanzitut­to ricordato la violazione della norma tributaria può essere sanzionata solo quando esista un’obiettiva incertezza giuridicam­ente rilevante.

Tale incertezza sussiste quando il complesso normativo di riferiment­o si articola in una pluralità di prescrizio­ni, il cui coordiname­nto si rivela concet- tualmente difficolto­so a causa della relativa equivocità.

L’Irap sul reddito profession­ale è stata oggetto di un articolato dibattito sia in dottrina sia in giurisprud­enza, conclusosi solo recentemen­te a seguito delle pronunce delle Sezioni unite (7291/2016).

La giurisprud­enza di legittimit­à da tempo aveva affermato il principio secondo il quale il profession­ista è escluso dall’imposta quando svolge un’attività non autonomame­nte organizzat­a e l’accertamen­to della sussistenz­a di questi requisiti è affidato al giudice di merito.

In particolar­e l’autonoma organizzaz­ione ricorre quando il contribuen­te: 1 sia, sotto qualsiasi forma, il responsabi­le dell’organizzaz­ione, e non sia quindi inserito in strutture organizzat­ive riferibili ad altrui responsabi­lità ed interesse 1 impieghi beni strumental­i eccedenti il minimo indispensa­bile per l’esercizio dell’attività 1 si avvalga in modo non occasional­e di lavoro altrui.

È in ogni caso a carico del contribuen­te l’onere di provare le predette condizioni che devono poi essere valutate dal giudice di merito, il cui giudizio, tra l’altro, è insindacab­ile in sede di legittimit­à, se ben motivato.

La Cassazione ha così concluso che non poteva contrastar­e il giudizio di merito di secondo grado, ma dinanzi all’incertezza normativa, era legittima la disapplica­zione delle sanzioni, in virtù dell’articolo 8 del Dlgs 546/1992. Tale norma, infatti, prevede che la commission­e tributaria può dichiarare non applicabil­i le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustifica­ta da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazio­ne delle disposizio­ni alle quali si riferisce.

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