Irap dei piccoli, niente sanzioni se c’è incertezza
pNiente sanzioni sulla pretesa Irap al professionista, in quanto solo recentemente le Sezioni unite hanno risolto vari aspetti per anni risultati incerti sull’applicazione della normativa. Di conseguenza il giudice tributario può legittimamente disapplicare la sanzione. Ad affermare questo principio è l’ordinanza 25853/2016 della Corte di cassazione depositata ieri.
Un commercialista ha ricevuto una cartella derivante dal controllo automatizzato con la quale era richiesta l’Irap, oltre interessi e sanzioni calco- lata sul reddito professionale dichiarato.
Il provvedimento è stato impugnato dinanzi al giudice tributario che in primo grado confermava l’illegittimità della pretesa erariale. Il collegio di appello, invece, ha riformato integralmente la decisione rilevando che il professionista non aveva fornito la prova dell’assenza del presupposto impositivo.
Il contribuente ha presentato ricorso in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’omessa pronuncia da parte della Ctr sull’irregolarità della procedura automatizzata utilizzata dal- l’Ufficio, sul rigetto delle prove fornite con il ricorso introduttivo ed anche sulla richiesta di disapplicazione delle sanzioni.
La Suprema corte ha ritenuto fondata solo la doglianza in tema di sanzioni. I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato la violazione della norma tributaria può essere sanzionata solo quando esista un’obiettiva incertezza giuridicamente rilevante.
Tale incertezza sussiste quando il complesso normativo di riferimento si articola in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento si rivela concet- tualmente difficoltoso a causa della relativa equivocità.
L’Irap sul reddito professionale è stata oggetto di un articolato dibattito sia in dottrina sia in giurisprudenza, conclusosi solo recentemente a seguito delle pronunce delle Sezioni unite (7291/2016).
La giurisprudenza di legittimità da tempo aveva affermato il principio secondo il quale il professionista è escluso dall’imposta quando svolge un’attività non autonomamente organizzata e l’accertamento della sussistenza di questi requisiti è affidato al giudice di merito.
In particolare l’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente: 1 sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse 1 impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività 1 si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
È in ogni caso a carico del contribuente l’onere di provare le predette condizioni che devono poi essere valutate dal giudice di merito, il cui giudizio, tra l’altro, è insindacabile in sede di legittimità, se ben motivato.
La Cassazione ha così concluso che non poteva contrastare il giudizio di merito di secondo grado, ma dinanzi all’incertezza normativa, era legittima la disapplicazione delle sanzioni, in virtù dell’articolo 8 del Dlgs 546/1992. Tale norma, infatti, prevede che la commissione tributaria può dichiarare non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.