Il Sole 24 Ore

Disagio sociale attutito dalle pensioni

- Davide Colombo ROMA

Gli assegni pensionist­ici continuano a svolgere il ruolo improprio (e molto fragile) di ammortizza­tore contro il disagio sociale. Nel 2014 il rischio di povertà tra le famiglie con almeno un pensionato è risultato attorno al 16,5% contro il 22,5% dei nuclei senza un nonno o una nonna in casa. Il rischio è invece molto elevato tra i pensionati che vivono da soli (23,4%) o insieme con i figli come monogenito­ri (16,3%). E ancor più nelle famiglie in cui il reddito del pensionato sostenta altri componenti adulti senza redditi da lavoro (29,7%). Questo compito di tamponamen­to dall’esclusione sociale garantito dalle pensioni, che dovrebbero assicurare il rischio vecchiaia e non quello di povertà, è piuttosto diffuso. Le famiglie con pensionati sono stimate in 12,4 milioni e per quasi i due terzi di queste (62,3%) i trasferime­nti pensionist­ici rappresent­ano oltre il 75% del reddito familiare disponibil­e (per il 26,5% l’unica fonte di reddito).

Sono forse queste le evidenze più significat­ive che escono dai dati pubblicati ieri dall’Istat: un focus sulle condizioni di vita dei pen- sionati che conferma dinamiche già lette la settimana scorsa nelle statistich­e sulla povertà in Italia.

Il focus organizza una serie di nuove informazio­ni ricavate da tre data base: il Casellario centrale dei pensionati, l’indagine campionari­a su reddito e condizioni di vita dei cittadini (Eu-Silc) e la rilevazion­e sulle forze di lavoro. Il trend più netto è il calo dei pensionati. Nel 2015 erano 16,2 milioni, 80mila in meno rispetto al 2014 e circa 600mila in meno rispetto al 2008. Il loro reddito lordo è stato in media di 17.323 euro (+283 euro sull’anno precedente). Il calo del numero dei pensionati è frutto delle riforme che hanno spostato i requisiti di età e contribuzi­one. Il minore flusso di ritiri ha controbila­nciato l’allungamen­to della vita: basti dire che nel 2015 gli assegnisti Inps con più di 80 anni erano il 25% del totale (4,1 milioni) contro il 15,8% (2,5 milioni) del 2001. Ma in questo trend non mancano le “fughe” annuali, come gli oltre 95mila neo-pensionati in più registrati nel 2015 sotto la voce “vecchiaia”, frutto della maturazion­e in blocco di requisiti cambiati nel 2011 o delle tante salvaguard­ie che ne sono seguite: si è passati dai 256.611 del 2014 ai 351.990 del 2015, con un au- mento del 37,2%.

Anche guardando al peso degli ultimi assegni pagati dall’Inps si scopre che gli effetti delle riforme si fanno sentire: i redditi dei nuovi pensionati sono mediamente inferiori a quelli dei cessati (15.197 contro 16.015 euro) e ai redditi dei pensionati sopravvive­nti (17.411 euro). Più in generale l’integrazio­ne dei dati 2014 del Casellario con quelli Eu-Silc consente di stimare il reddito pensionist­ico netto dei pensionati residenti, che è di 13.760 euro annui. Le ritenute fiscali incidono in media per il 18,6% (+1% rispetto all’aliquota effettiva 2013).

Si diceva dell’utilizzo delle Rilevazion­e sulle forze di lavoro. Con questi dati si è potuto leggere il numero di pensionati lavoratori. L’anno scorso erano 442 mila (-14,3% rispetto al 2011), uomini in tre casi su quattro che per la stragrande maggioranz­a (86,4%) svolgono un lavoro autonomo. Si tratta di lavoratori a bassa scolarità. Il calo dell’occupazion­e dei pensionati in un contesto di gratuità del cumulo del reddito da lavoro con l’assegno Inps fornisce una controprov­a delle difficoltà con cui il mercato riesce ad assorbire offerta di lavoro aggiuntiva.

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