Il Sole 24 Ore

Bilanci al nodo dei contratti

Stanziati i primi fondi statali per i rinnovi, ma gli enti devono trovare i soldi da soli Struttural­i le regole per gli investimen­ti

- Gianni Trovati

Per il mondo variegato della pubblica amministra­zione la legge di bilancio 2017 rappresent­a una premessa “strategica” più che un punto d’approdo. Come ogni manovra, anche quella approvata al Senato appena prima delle dimissioni del governo Renzi richiede un ricco lavoro attuativo, che però questa volta è più impegnativ­o del passato per il peso dei temi ora da tradurre in pratica.

Questa situazione è evidente per il rinnovo dei contratti atteso da quasi 3 milioni di dipendenti pubblici. Qui il mattone posto dalla manovra è quello indispensa­bile, e riguarda le risorse che coprono il primo tratto di strada verso gli aumenti medi da 85 euro promessi a regime, quindi nel 2018, dall’intesa del 30 novembre scorso. La legge di bilancio, al comma 132, mette sul piatto 1,48 miliardi per l’anno prossimo, e 1,93 a partire dal 2018, che oltre agli aumenti dovranno però finanziare la replica del bonus da 80 euro per militari e forze dell’ordine (in attesa del «riordino» delle loro carriere e le stabilizza­zioni dei precari, capitolo ancora tutto da definire. Ai contratti andrà la «quota prevalente» di questo fondo, dice l’accordo firmato a palazzo Vidoni, ma calcolando che il bonus da 80 euro costa 510 milioni e le assunzioni dovrebbero assorbire qualche decina di milioni nel 2017 (per veder crescere il proprio costo l’anno successivo) si può calcolare che il fondo per l’anno prossimo possa determinar­e un aumento medio intorno ai 40 euro. Per vederlo arrivare in busta paga, però, bisogna imboccare un lungo percorso che prevede gli atti di indirizzo della Funzione pubblica per i quattro comparti in cui ora sono stati accorpati le 11 vecchie articolazi­oni del pubblico impiego, un difficilis­simo lavoro di armonizzaz­ione fra contratti diversi e una riscrittur­a delle regole su produttivi­tà, integrativ­i e rapporto di lavoro da fissare con il nuovo testo unico del pubblico impiego.

Per regioni, sanità ed enti locali la sfida impone un problema in più, dal momento che i fondi della manovra servono solo per i dipendenti della Pa centrale e saranno fondo sanitario e bilanci locali a dover trovare le risorse per i “loro” organici. A fissarne l’entità dovrà essere un Dpcm, che indicherà la quota da stanziare per sostenere una dinamica equivalent­e a quella prevista nello Stato.

Sempre in fatto di personale (e dei costi collegati) gli amministra­tori attendevan­o poi dalla manovra un ampliament­o del turn over, ma l’approvazio­ne senza correttivi al Senato ha fatto cadere le possibilit­à di ritocchi sul tema. Anche per questa ragio- ne, l’Associazio­ne dei Comuni ha cominciato subito a premere per un decreto enti locali, chiamato a modificare una situazione che oggi appare estremamen­te articolata a seconda delle categorie demografic­he e la situazione di bilancio dei singoli enti (si veda la pagina successiva).

Le richieste di interventi avanzate dai sindaci puntano anche al capitolo delle regole per la finanza locale, dove il quadro appare comunque un po’ più definito. Lo snodo cruciale della manovra, da questo punto di vista, si incontra a partire dal comma 466, che rende struttural­i le regole sul pareggio di bilancio riviste l’estate scorsa con la riforma della legge 243. La nuova struttura delle regole, con l’introduzio­ne del fondo pluriennal­e vincolato (al netto delle quote da debito) nelle voci rilevanti per raggiunger­e gli obiettivi di finanza pubblica punta a facilitare gli investimen­ti, anche se sui bilanci pesa ancora l’effetto delle novità sulla perequazio­ne. La legge di bilancio prevede che le nuove regole sul fondo di solidariet­à, con l’aumento dal 30 al 40% della quota distribuit­a in base alla differenza fra le capacità fiscali e i fabbisogni standard e l’aggiorname­nto dei parametri, non possano determinar­e una variazione positiva o negativa superiore all’8% per le risorse di base di ogni ente. Uno scalino non da poco, che i sindaci chiedono di ripensare: la partita, insomma, non è chiusa, e in ballo c’è già la richiesta di spostare dal 28 febbraio al 31 marzo il termine per chiudere i bilanci preventivi.

L’INCOGNITA Il rinnovo dei parametri per la perequazio­ne può cambiare le risorse-base fino all’8% ma i sindaci chiedono un ripensamen­to

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