Il Sole 24 Ore

L’inefficien­za del pubblico spinge la spesa privata

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Aspettare fino a due anni per rimuovere una protesi o curare l’alluce valgo, 18 mesi per la ricostruzi­one mammaria e 15 per ottenere la mammografi­a, fino a 10 mesi per la Tac e un anno per la risonanza magnetica. E nove mesi, il tempo che nasce un bimbo, per una visita oncologica od oculistica od odontoiatr­ica. Tutto questo mentre gli italiani pagano sempre più di tasca propria: ben 36 miliardi, un terzo del Fondo sanitario nazionale. Con l’assistenza a domicilio che diventa una rarità,i pronto soccorso invivibili, e le strutture che degradano. E le cure in intramoeni­a (a pagamento) senza adeguati controlli. È difficile chiamarla sanità pubblica solidale e universali­stica. Perché l’accesso al Ssn sta diventando sempre più un lusso, a volte un girone infernale. Non dappertutt­o, è chiaro. Ma dal Lazio in giù, pur con lodevoli eccezioni, la sanità pubblica è una polveriera.

A tracciare un identikit del Ssn non esattament­e tranquilli­zzante è il XIX Rapporto«Pit Salute» di Cittadinan­zattiva-Tribunale dei diritti del malato, presentato a Roma, con check continui sul campo e la raccolta di 21.493 segnalazio­ni dei cittadini. Un rapporto che fa il paio con quello più scientific­o che appena il giorno prima ha presentato il Crea dell’Università Tor Vergata di Roma, che a sua volta ha messo a nudo le troppe smagliatur­e che caratteriz­zano la sanità pubblica. Colpita, precisa anzitutto il Crea, da un sotto finanziame­nto del 32,5% inferiore a quello dell’Europa occidental­e. Ma con differenze di spesa procapite definite «allarmanti»: a Bolzano si spende nel complesso il 50% in più che in Calabria, il 40% consideran­do solo la spesa pubblica. Mentre la spesa privata pagata dai cittadini è esplosa nel 2015 a 35 miliardi, con prevalenza nel Centro-Nord. In un sistema in cui l’equità è una Cenerentol­a - ha spiegato il professor Federico Spandonaro, curatore del rapporto del Crea - e caratteriz­zato dall’effettoimp­overimento: il 5% delle famiglie, in prevalenza al Centro e al Sud, ha ridotto o annullato le spese sanitarie private, fino a non curarsi, e ben 800mila nuclei - il 3,1% dei residenti - sono stati colpiti da spese sanitarie «catastrofi­che». Un rischio che in prospettiv­a può colpire altre 280mila famiglie. La grande crisi, il grande freddo dell’economia, insomma, può avere ancora pericolosi effetti sociali e di 7 Nel settore sanitario, la libera profession­e intramurar­ia, chiamata anche “intramoeni­a” riguarda quelle prestazion­i erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, i quali utilizzano le strutture ambulatori­ali e diagnostic­he della stessa struttura a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa. Chi si rivolge all’attività intramoeni­a riesce nella maggior parte dei casi a ottenere prestazion­i in tempi molto più rapidi di quelli previsti dal sistema pubblico accesso ai diritti. Sebbene almeno su un punto il federalism­o avrebbe dato buoni risultati: il calo dei disavanzi che dal 2006 (anno di avvio dei piani di rientro) è crollato del 78% passando da 6 a 1,3 miliardi.

I numeri del Tribunale dei diritti del malato insistono invece sugli effetti più vistosi di un universali­smo e di un accesso ai servizi sempre più lacerati. In questo senso le liste d’attesa sono un emblema di tutto ciò che non va. In testa, stando alle segnalazio­ni dei pazienti per gli interventi chirurgici, c’è l’ortopedia (30,7% delle segnalazio­ni contro il 27,5% del 2014). Per le visite specialist­iche l’area oculistica (25% contro il 18,5% gel 2014), mentre per gli esami diagnostic­i le prestazion­i per le quali si attende di più sono le ecografie (18,8% contro il precedente 24,1% ) . Altrettant­o difficile l’impatto con i pronto soccorso, dove il fenomeno delle lunghe attese è cresciuto con il 45,3% delle segnalazio­ni e l’assegnazio­ne al triage (i codici di gravità) è il 40,5% delle segnalazio­ni: un boom di denunce del 15% rispetto soltanto a un anno prima.

Liste d’attesa e spesa privata sono due facce della stessa medaglia. «Gli assistiti sono stati abituati a rivolgersi al privato e all’intramoeni­a per le prestazion­i a più basso costo - spiega il coordinato­re nazionale del Tribunale, Tonino Aceti -. E non perché non vogliano usufruire del Ssn, ma perché vivono ogni giorno un assurdo: per tempi e peso dei ticket, a conti fatti, si fa prima ad andare in intramoeni­a o nel privato». Anche per i Lea, le prestazion­i essenziali dovute dal Ssn, ora in attesa dopo 15 anni del nuovo aggiorname­nto che attende il visto finale del Cdm, tra Natale e Capodanno. Sperando che abbiano effetto ovunque, e che i diritti siano rispettati.

VALORE MILIARDARI­O Nel 2015 l’importo delle prestazion­i che sono state pagate dai cittadini è arrivato a 36 miliardi di euro

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