Come è difficile scegliere il «miglior difetto»
Di legge elettorale si parlerà ininterrottamente da qui al momento del voto, senza aspettare il parere della Corte costituzionale sull’Italicum. Ed è logico che sia così, non solo perché c'è una diffusa impazienza di tornare al voto, ma perché le forze politiche sono fermamente intenzionate a varare una nuova legge elettorale, comunque diversa dall’Italicum.
Tanto vale, dunque, parlarne subito. In questo tipo di discussione, forse, sarebbe utile distinguere fra i principi generali, che dovrebbero valere comunque, e le scelte di natura politica, che non possono che essere opinabili. Fra i principi generali, a mio parere, il più importante è quello del “velo d’ignoranza”, una nozione resa celebre da John Rawls negli anni '70 del secolo scorso, ma che risale alle dottrine contrattualiste del XVII secolo: i partiti che stabiliranno le nuove regole dovrebbero negoziarle come se non sapessero chi di essi potrà più avvantaggiarsene. A tale principio, naturalmente, è facile obiettare ciò che ai contrattualisti viene regolarmente obiettato, e cioè che non è possibile ignorare i propri interessi: i nostri partiti sanno (o credono di sapere) piuttosto bene che cosa loro conviene e che cosa no, e non hanno la minima intenzione di comportarsi come se non lo sapessero.
È vero, ma le vicende recenti autorizzano anche un diverso racconto: in realtà gli interessi di partito possono cambiare, anche piuttosto in fretta, e ciò che conviene oggi può rivelarsi controproducente domani. La storia dell’Italicum è un esempio perfetto. Oggi lo si contesta perché “il sistema è diventato tripolare”, con Grillo, Pd e centro-destra a contendersi il governo del Paese. Ma è una ricostruzione ad hoc, perché i tre poli esistevano già, ed erano perfettamente visibili, quando l’Italicum venne approvato, ossia nella primavera del 2015. È dalle elezioni politiche del febbraio 2013, quando il Movimento Cinque Stelle ebbe a raccogliere più o meno i voti del Pd, che sappiamo che ci sono tre schieramenti politici.
Perché allora non si pensò ciò che ora si finge di pensare, ovvero che il sistema non funziona bene con tre poli? La ragione è nota. Renzi aveva stravinto le elezioni europee del 2014, con il 40,8% dei consensi, e si era persuaso che il suo partito non avrebbe avuto difficoltà, o al primo o al secondo turno, ad aggiudicarsi il premio di maggioranza. Poi sono venute le elezioni amministrative del 2016 (con le sconfitte del Pd, e le vittorie del Movimento Cinque Stelle), ed improvvisamente si sono cominciati a comprendere i limiti dell’Italicum: dato che a beneficiarne potrebbe essere il Movimento Cinque Stelle, l’Italicum non piace più al Pd; in compenso ora piace tantissimo al movimento Cinque Stelle, che fino a qualche settimana fa lo criticava aspramente. Da questa vicenda dovrebbe derivare una prima riflessione: così come, ieri, è stato un atto di hybris fare una legge per far vincere un partito, sarebbe altrettanto sbagliato, oggi, farne un’altra solo per impedire a un differente partito di vincere. Una buona legge elettorale deve poter durare almeno qualche decennio, e deve impedire possibili esiti anomali futuri, chiunque ne siano i beneficiari e le vittime. Ecco perché, a mio parere, è soprattutto sugli esiti anomali, da evitare o rendere molto improbabili, che sarebbe utile iniziare a discutere. Perché una legge elettorale non può impedire qualsiasi esito anomalo, ma può evitarne alcuni. Tutto sta a metterci d’accordo su quali siano gli esiti che è più importante evitare.
Un esito anomalo (A), ad esempio, è che un partito che raccoglie – poniamo – il 15% dei consensi su base nazionale, possa non eleggere alcun rappresentante o eleggerne un numero irrisorio. Si potrebbe pensare che questo esito sia del tutto anti-democratico, ma è esattamente quel che può succedere (ed è successo) nella più antica e “autorevole” democrazia del mondo occidentale, quella inglese, con un partito come i liberaldemocratici, schiacciato fra conservatori e laburisti. I paladini del sistema uninominale a un turno, o “uninominale secco”, non possono nascondere questo difetto del sistema da essi preferito. Un altro (per certi versi opposto) esito anomalo (B) è che forze molto piccole possano avere accesso al Parlamento, e condizionare pesantemente le politiche o le alleanze fra i partiti maggiori, e quindi più rappresentativi dei cittadini. Questo difetto è sempre stato presente in tutte le leggi elettorali adottate dall’Italia, dove soglie esplicite, soglie implicite, regole sulle liste coalizzate hanno spesso spalancato le porte a micro-partiti e partiti cespuglio. E il medesimo difetto è presente nell’Italicum, dove l’idea originaria di una soglia di sbarramento alta o media (4-5%) è stata abbandonata a favore di una soglia piuttosto bassa (3%).
Un altro esito anomalo (C) è che il meccanismo elettorale non sia in grado di individuare sempre in modo univoco un vincitore. Questo è un difetto del sistema proporzionale (in vigore dal 1948) e della legge Mattarella (in vigore dal 1993 al 2005), mentre è un pregio delle due leggi elettorali successive, il cosiddetto Porcellum di Calderoli e l’Italicum di Renzi. Un ulteriore esito anomalo (D) è che una forza politica, una coalizione o un leader che ha ottenuto meno voti di un’altra detenga la maggioranza dei seggi e governi. Questo è un esito possibile della legge Mattarella, ma è anche quello che talora accade nelle presidenziali americane (recentemente è accaduto con Al Gore e Hillary Clinton, sconfitti nonostante avessero raccolto più voti dei loro avversari).
Ma forse l’esito anomalo più importante (E) è che una sola lista si aggiudichi la maggioranza assoluta dei seggi pur avendo ottenuto il consenso da un numero di votanti ampiamente inferiore al 50%. Questo è, a detta di molti, il difetto cruciale dell’Italicum, e forse anche la ragione ultima (insieme al “Senato pasticciato”) della sconfitta di Renzi al referendum. È vero che questo difetto è stato un po' esagerato, e che si è spesso sottovalutato il pregio ad
Ogni sistema di voto comporta l’accettazione di «esiti anomali». I partiti dovrebbero dirci quali sono disposti ad accettare
esso strettamente connesso («la sera delle elezioni si sa chi ha vinto»). Ed è anche vero che gli esempi numerici addotti per illustrare tale difetto possono apparire puramente teorici (un partito con il 20-25% dei voti che si aggiudica il 54% dei seggi). E tuttavia, se accettiamo l’idea che una legge elettorale deve produrre risultati ragionevoli, o perlomeno accettabili, anche in situazioni-limite, il difetto c’è ed è incontrovertibile. Tanto più che l’anomalia può essere prodotta anche da risultati fin da oggi non del tutto inverosimili. Con una soglia di sbarramento al 3% e l’attuale trend di decadenza dei maggiori partiti non troverei così sorprendente che alle prossime elezioni il vincitore del ballottaggio (cui andrebbe il 54% dei seggi) ottenesse solo il 30% dei voti al primo turno, con il secondo e il terzo arrivato intorno al 27-28%, e il restante 15% dei consensi suddiviso fra 3-4 partitini non federati perché attirati dalla bassa soglia di sbarramento.
A questi cinque possibili esiti anomali, poi, si aggiunge, nei sistemi bicamerali, l’esito anomalo per eccellenza, ovvero il fatto che il voto o gli accordi parlamentari diano luogo a due diverse maggioranze alla Camera e in Senato. Un’eventualità che è sempre stata possibile nella storia italiana, e che il più delle volte è stata evitata per puro caso, non perché la legge elettorale la rendesse impossibile (richiesta peraltro assurda, perché nessuna legge elettorale può impedire al corpo elettorale di agire in modo incongruente). È facile dimostrare che, anche avessimo una sola Camera, nessuna legge elettorale potrebbe evitare tutti e cinque gli esiti anomali che ho indicato sopra. La scelta di una legge elettorale comporta, necessariamente, l’accettazione di qualche esito anomalo, e quindi non può che essere frutto di una scelta politica, che privilegia qualche principio a scapito di qualche altro. O, se preferite: che sceglie “il miglior difetto”, ovvero il mix di difetti che genera i minori inconvenienti. Come si vede, ce n’è abbastanza per non prendere risolutamente posizione per una legge elettorale contro tutte le altre. Ma già sarebbe molto se i partiti, quando difendono le rispettive proposte, avessero l’onestà e il coraggio di dirci quali, fra i cinque difetti A-B-C-D-E, sono disposti ad accettare e quali no.