Lo «straniero» e il Paese normale
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha un sito web destinato ad attirare gli investimenti esteri in Italia (http://www.investinitaly.com/). Tra le iniziative promosse spicca il Global Roadshow, volto a spiegare «le politiche dell’Italia per l’attrazione degli investimenti esteri». Il sito, però, specifica che «l’evento è su invito». Forse per questo il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, discutendo dell’acquisto del 20% di Mediaset da parte del francese Bolloré, ha dichiarato che non è «il modo più appropriato di procedere per rafforzare la propria presenza in Italia». Non era stato invitato. Il governo e la nostra classe politica vogliono l’Europa e la globalizzazione «su invito». Almeno quando si tratta dell’entrata nei salotti buoni, perché non c’è altrettanta simpatia per i lavoratori che si sentono minacciati dagli immigrati. Dopo Brexit, Calenda aveva affermato: «Quanto più gli inglesi regoleranno e limiteranno la presenza di cittadini comunitari nel Regno Unito, tanto più noi limiteremo la presenza di merci del Regno Unito in Europa».
Passi per chi viene dai salotti buoni, dove si chiede permesso prima di entrare e dove si sta molto attenti a non offendere gli invitati, ma dove è lecito spellare il parco buoi degli azionisti. Ma come può tale posizione venire da un esponente di un partito che si definisce ancora di sinistra? Passi il nazionalismo economico di Salvini e quello di Fassina, almeno entrambi sono coerenti nel rifiutare il mercato in tutte le sue forme e metodi. Passi anche l’opposizione dell’ex Ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani: ha sempre dimostrato un amore personale per l’azienda del capo del suo partito. Ma come spiegarlo da parte di Carlo Calenda, esponente del Pd e grande sostenitore del libero scambio? Quel Calenda che era stato uno strenuo sostenitore del Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), un accordo che avrebbe severamente limitato la capacità degli stati sovrani di regolare le multinazionali. Proprio quella sovranità che Calenda implicitamente minaccia di usare contro Bolloré. Se non bastassero i principi dell’europeismo e del libero mercato, a convincerci che il governo debba accogliere di buon cuore qualsiasi investimento estero, c’è la natura dell’impresa oggetto di attenzione. Per decenni il Pds prima e il Pd poi hanno (giustamente) combattuto l’anomalia italiana di un Presidente del Consiglio che controlla personalmente metà del mercato televisivo italiano. Ora che l’opportunità di sanare per sempre quest’anomalia si presenta su un piatto d’argento, uno dei suoi esponenti protesta nel silenzio generale del resto del partito?
Sia chiaro che in nessun modo voglio difendere Bolloré, uno spregiudicato finanziare che temo si comporterà in modo da far rimpiangere i capitalisti nostrani (che poco hanno da essere rimpianti). Ma difendo il principio di libera concorrenza. Non possiamo essere europeisti a giorni alterni. Non possiamo difendere la concorrenza e il mercato per gli altri e poi diventare protezionisti quando il mercato ci tocca direttamente. E penso che sia solo positivo che attività “strategiche” come la televisione siano in mano a non italiani. Almeno c’è una speranza che le nostre autorità si sveglino e facciano il loro dovere. L’unica volta che la Consob di Vegas ha mostrato dei segni di vita è stato proprio quando Bolloré ha cercato di impadronirsi di Fonsai. Solo allora si sono ricordati delle regole del Testo Unico della Finanza. E guarda a caso l’Agcom si è svegliata solo ora, brandendo nientemeno che la legge Gasparri. A dimostrazione delle ferite profonde lasciate dal conflitto di interesse berlusconiano, la legge fatta su misura dal governo Berlusconi per l’azienda di famiglia torna comoda per difendere il patriarca.
Magari con uno “straniero” a capo di Mediaset, l’Agcom si ricorderà di far rispettare la par condicio, il Governo imporrà il limite di due reti televisive, e le frequenze per le televisioni saranno messe all’asta come quelle per i telefoni. Magari con uno “straniero” a capo di Mediaset diventiamo un Paese normale.