Il «sistema-Bolloré» allarga la rete in Italia
Posizioni rilevanti costruite in maniera quasi scientifica nei settori chiave del Paese e una fitta rete di relazioni con manager chiave, italiani e francesi, che spesso garantiscono una influenza notevole sul fronte delle scelte strategiche . È il «sistema» che ruota attorno a Vincent Bolloré e che fa del raider francese uno degli uomini più rilevanti sulla scena economico finanziaria italiana.
Specie negli ultimi anni il reticolato di azioni ed interessi che parte da Parigi è cresciuto enormemente in Italia, con il finanziere più disinvolto nel mettere in atto blitz spesso non concordati. Due numeri danno le dimensioni del peso del suo portafoglio: il pacchetto complessivo di partecipazioni raccolto in prima persona da finanziarie facenti capo a Vincent Bolloré o indirettamen- te dal gruppo Vivendi, che presiede e controlla, in Italia vale più di 4 miliardi di euro. Valore che sale enormente se si pensa che in alcuni casi, come in Telecom Italia, la quota del 24,19% rappresenta, di fatto, il controllo sul gruppo telefonico, che in Borsa capitalizza 12,2 miliardi.
Fu Cesare Geronzi, nel 2010, ad associare per la prima volta a Bolloré il termine sistema: è «una figura che conta nel sistema», disse. E l’imprenditore bretone ricambiò la cortesia chiarendo che Mediobanca e le Generali «sono le torri di controllo dell’Italia». Proprio da qui Bolloré si è mosso per costruire il suo impero, complice un legame con piazzetta Cuccia che ha garantito spesso corsie privilegiate per diventare protagonista di importanti riassetti.
«Dove non ci sono le azioni francesi, ci sono i manager francesi», si ricorda negli ambienti finanziari. E sembrerebbe proprio così, se si va a mettere in fila gli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto da un lato il settore finanziario e dall’altro quello delle tlc e media, con il primo partecipato direttamente da Bolloré e il secondo retto dalla controllata Vivendi. A titolo personale Bolloré ha due soli investimenti degni di nota nel settore finanziario assicurativo: lo 0,13% delle Generali e l’8% di Mediobanca. Quell’8% è vincolato al patto di sindacato che governa Piazzetta Cuccia che a sua volta è primo azionista del Leone di Trieste con il 13%. Ma proprio nel Leone di Trieste, lo scorso settembre, è spuntato tra i soci con una partecipazione aggregata prossima al 5% Société Generale. La stessa che, attraverso la controllata Amundi, ha recentemente acquistato da UniCredit Pioneer. Coincidenze? La banca di Piazza Gae Aulenti è guidata dal francese Jean Pierre Mustier, conoscente di Bolloré, e chi ha vissuto da vicino la “gara” per la valorizzazione racconta che il ceo ha fin da subito sgombrato il campo da ogni dubbio: «Venderò l’asset a chi offrirà il prezzo più alto». Una strategia lineare ma che già dal primo momento ha eletto Amundi “favorito” nella corsa. E per una ragione molto semplice: solo un colosso dell'asset management poteva offrire un prezzo così alto, in grado di incorporare, ovviamente, le future sinergie. Tutto ciò a dimostrazione che la Francia sa fare sistema, nel suo paese ma anche fuori dai confini nazionali.
Per Bolloré, la presenza in Me- diobanca e, di riflesso, in Generali sono stati decisivi per costruire il suo futuro in Italia. Qui ha coltivato rapporti chiave, tanto da venir coinvolto, in più occasioni, nel tentativo di salvataggio di aziende cruciali che sembravano non trovare patria. Basti ricordare l'intervento nella delicata vicenda FondiariaSai. Con i Ligresti ancora alla guida Bolloré acquistò il 5% di Premafin, la cassaforte i n cui era custodito il controllo del gruppo assicurativo. All'epoca era socio di Mediobanca, dove nel patto c'era anche Groupama, società assicurativa francese. E infatti di lì a poco fu siglato l'accordo per l'ingresso nella holding della compagnia transalpina. L'intesa poi tramontò ma il suo ruolo si rivelò cruciale per tessere la prima tela tra i Ligresti e Groupama.
Proprio l'attivismo nel settore assicurativo ha alimentato le scommesse di chi vedeva la sua presenza nel patto di Mediobanca con l'unico scopo di poter avere voce in capitolo anche sul futuro delle Generali. Il suo stretto rapporto con Claude Bébéar, fondatore di Axa e ancora oggi deus ex machina del capitalismo francese dall'alto dei suoi 81 anni, ha fatto temere l'esistenza di un disegno ben preciso per portare in Francia il Leone di Trieste. Finora, però, almeno nella compagnia triestina, Bolloré si è mosso con cautela e pur ricoprendo, come successo in passato, poltrone pesanti come la vice presidenza che ha poi lasciato nel 2013, non ha mai forzato la mano . I sospetti, però, continuano a essere forti nell'estabilishment italiano. Tanto che in occasione della nomina di Philippe Donnet quale group ceo del Leone, in molti puntarono il dito contro i rapporti tra il nuovo amministratore delegato della compagnia e il finanziere. In merito, va detto, che Donnet era stato scelto per guidare l'Italia dall'ex ceo Mario Greco e che il “piano di emergenza” dell’azienda in caso di sostituzione veloce della guida prevedeva già l'ascesa del manager francese.
Più di recente, le voci di un certo interesse di Allianz per Generali France, asset che potrebbe rappresentare un serio ostacolo antitrust all'avanzata transalpina a Trieste, ha riportato di attualità il tema Axa. L'ipotesi di una valorizzazione della Francia, pilastro assieme a Italia e Germania, della presenza in Europa del Leone, viene scartata con forza dai soci, indisponibili a ridimensionare in tal misura il perimetro d'azione del gruppo, e poi dal management stesso che in un'intervista a valle dell'Investor Day ha chiarito che i target di valorizzazione sono ben altri. Ma è chiaro che, dopo gli ultimi blitz del finanziere bretone, preservare l'italianità delle Generali è tornato a essere il tema dominante. Del resto, in Mediaset, complice la fase di incertezza che governa l'Italia, ha cercato l'affondo senza premurarsi di «coprirsi» le spalle. In Telecom il percorso è stato lo stesso, ma in quel caso Bolloré ha quantomeno cercato prima l'appoggio del sistema. Un cambio di passo, dunque, che in molti temono possa avvenire anche a Treste. Tanto più che il prossimo anno scade il patto Mediobanca e Bolloré da solo rappresenta comunque il primo azionista privato di piazzetta Cuccia.
IL PUNTO Il pacchetto di partecipazioni nel nostro Paese vale oltre 4 miliardi, ma il peso è più elevato anche per le operazioni sull’asse Piazzetta Cuccia-Trieste