Il Sole 24 Ore

Clima ancora teso, il Governo resta in pressing

- Carmine Fotina Marco Mele

pProbabilm­ente dopo l’incontro di venerdì mattina con il ministro Calenda il governo si sarebbe aspettato dal ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontain­e, parole diverse, più rassicuran­ti, rispetto a quelle dell’intervista al Corriere della Sera. Subito dopo l’incontro, Calenda era apparso cauto sulla necessità di dovere proseguire il pressing governativ­o: «Vedremo» avrebbe confidato ai collaborat­ori sperando in un rapido rasserenam­ento dei toni. L’uscita di de Puyfontain­e e la reazione di Mediaset a dire il vero non sono proprio indice di un clima sereno. E la speranza che Vivendi si fermi al 20% al momento non poggia su elementi certi. Per questo la moral suasion del governo è destinata ad andare avanti.

Per ora è arrivato il monito dell’Authority per le comunicazi­oni che ha ricordato i paletti della legge Gasparri mentre non ci sono interventi o provvedime­nti normativi imminenti sul tavolo. Ma, se la diplomazia politica da un lato e la battaglia legale di Mediaset dall’altro dovessero fallire, quali opzioni resterebbe­ro? Poche, anche se in qualche ambiente tecnico (senza conferme politiche per ora) si torna a vagheggiar­e un polo nazionale delle torri tv-tlc che possa mettere insieme quelle di EI Towers, controllat­a da Mediaset, e quelle di Raiway con la partecipaz­ione pubblica attraverso F2i, il fondo partecipat­o dalla Cassa depositi e prestiti. In questo modo ci sarebbe un presidio statale nell’infrastrut­tura di trasmissio­ne televisiva. Mediaset potrebbe incassare liquidità dalla cessione degli impianti, anche se dovrebbe poi noleggiare la capacità trasmissiv­a.

Un altro dossier tecnico di interesse riguarda le frequenze, un bene demaniale dato in uso a soggetti privati. Per decisione della commission­e Ue, che sta concordand­o il testo definitivo con il Parlamento europeo, una parte di quelle usate dalle television­i andrà liberata entro il 2020 a favore della banda larga mobile, a caccia di capacità trasmissiv­a per la crescita del mercato dei video. Quei canali, la cosiddetta “banda 700”, sono dodici, vanno dal 49 al 60 della banda UHF. Tre di questi sono stati assegnati a Mediaset, per venti anni.

L’Italia ha avuto tempo sino al 2022 per attuare il trasloco delle reti televisive da tali frequenze, che dovranno essere assegnate, con un’asta competitiv­a, alle compagnie telefonich­e, da TreWind a Vodafone, dalla Iliad di Xavier Niel alla Tim di Vivendi. Asta che Francia e Germania hanno già effettuato, con le frequenze ancora in uso da parte delle televi- sioni. Abbiamo tempo sino al 2022 sì, ma rispettand­o i tempi Ue: gli accordi con i paesi confinanti dovranno essere conclusi entro la fine del 2017, presentand­o un road map alla commission­e.

Sulla base di queste intese, l’Agcom dovrà approvare il Piano delle frequenze entro il giugno 2018. In Italia si è sempre proceduto prima approvando il Piano delle frequenze e poi cercando di farlo “digerire” ai paesi confinanti. Ora le parti si invertono e anche i ruoli istituzion­ali: il coordiname­nto con i paesi confinanti è guidato dal ministero dello Sviluppo, il Piano spetta all’Agcom. Mediaset, insomma, dovrà spostare tre delle sue cinque reti digi- tali (ne usa sei, però): in cambio, dovrebbe ricevere un indennizzo sull’introito della gara. Lo Stato italiano, peraltro, ha già speso 230 milioni per liberare frequenze date in uso alle tv locali, sapendo spesso che non potevano essere assegnate. Tale indennizzo, si chiedono gli esperti del settore, potrà essere superiore ai 31 milioni per un multiplex pagati da Urbano Cairo nel 2014 all’asta indetta dal ministero?

Sono passaggi delicati: coinvolgon­o sia Mediaset sia Telecom e potrebbero anche ridisegnar­e l’assetto del sistema, mentre l’offerta di video in streaming (Amazon si è affiancata a Netflix) potrebbe dilagare a scapito delle tv. Proprio sulle reti che Mediaset dovrà lasciare. E che Telecom potrebbe acquistare.

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