Ambiente, il Cipe in prima linea per l’innovazione
Il primo rapporto «L’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibili» , presentato lo scorso 28 settembre alla Camera dei deputati dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), richiama gli impegni assunti dal nostro Paese presso le Nazioni unite per garantire una maggiore tutela del capitale naturale e migliore qualità dell’ambiente nel 2030.
Il raggiungimento di questi due obiettivi impone una forte accelerazione perché molti target vanno raggiunti entro il 2020. Nel Rapporto l’esortazione è, pertanto, quella di dare attuazione alle normative esistenti, come quella che prevede il censimento e l’ eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente, e i piani nazionali già disegnati. Su queste tematiche, il gruppo di lavoro promosso in seno al Consiglio nazionale della green economy, ha recentemente presentato interessanti proposte per l’attuazione della fiscalità ecologica nell’ambito del Collegato ambientale nazionale (approvato nella legge di stabilità 2016 del 28 dicembre 2015 con relativa Strategia di sviluppo sostenibile) e definito il ruolo della riallocazione fiscale verde nell’intervento pubblico in chiave Agenda 2030.
Al fine di dare rapida operatività alla menzionata strategia, la prima proposta sul tavolo è dunque di natura istituzionale e attiene alla centralità del Cipe, chiamato dal Collegato a darvi immediata operatività, da un lato provvedendo alla creazione di un fondo ad hoc da istituire all’atto di recepimento degli accordi C op 21 di Parigi. Tale nuovo fondo, sarebbe appunto gestito dal Cip e e sarebbe alimentato dalle risors eri allocative provenienti dall’ eliminazione graduale dei sussidi dannosi.
Il fondo costituirebbe un vero e proprio motore di sviluppo sostenibile, operando con una logica intersettoriale per affrontare i diversi impegni previsti dal collegato, tra cui l’economia circolare, il sistema idrico e il sistema idrogeologico e dovrebbe provvedere quindi a una doppia selezione: una prima che entri nel merito dei settori cedenti di risorse, già ora a carico del bilancio dello Stato; l’altra relativa ai settori fruitori, dai quali dipendono i benefici, prima di tutto ambientali e occupazionali, misurabili sul territorio.
In tema di riallocazione la proposta si articola in cinque punti. Sul versante delle entrate (minori uscite, nda), si prevede la riduzione/eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente, costituiti in buona parte da provvedimenti di favore per basi imponibili con im- patti negativi sull’ecosistema e il territorio; tale azione, portando a un incremento di gettito, è assimilabileaunanuovaformadientrata che rende disponibili nuove risorse stimate in 5,2 miliardi di euro.
Sul versante delle minori entrate si auspica la riduzione di altre imposte maggiormente distorsive e penalizzanti per la crescita. Sul versante delle spese, è previsto un piano di sostegno a investimenti e infrastrutture di rilievo per la tutela e la valorizzazione ambientale e il finanziamento d’incentivi per l’eco-innovazione e infine, interventi di mitigazione e compensazione per le categorie che potrebbero subire i principali effetti negativi dalle misure proposte sul versante delle entrate, con particolare riguardo all’occupazione e al relativo bilancio.
Il fondo ad hoc e le previste riallocazioni permetterebbero dunque un più incisivo sostegno alle energie rinnovabili, all’efficientamento energetico, al trasporto sostenibile, ai servizi ecologici e la tutela del suolo, servizi idrici e d’igiene urbana. Si potrebbe anche immaginare un contributo energetico agli interventi post-sisma, associando la sicurezza con l’efficienza energetica e con l’intervento idro–geologico.
Volendo mantenersi in un mero ambito di neutralità fiscale, sarà possibile prevedere, ad esempio, riduzioni d’imposta a compensare nuovi tributi ambientali, ma anche la copertura di nuovi investimenti in campo energetico-ambientale, almeno in una certa misura, con risorse aggiuntive derivate dal medesimo ambito (tributi ambientali e/o eliminazione di sussidi ambientalmente dannosi), senza dover ricorrere ad altre forme d’entrata (ad esempio imposte sul lavoro).
La neutralità fiscale potrebbe tuttavia essere superata in una dimensione macroeconomica e con una visione strategica complessiva. Entrano, infatti, in gioco, per esempio, benefici direttamente ambientali, in termini di minore inquinamento e consumo di risorse; una crescita del reddito e dell’occupazione nel suo complesso, un incremento della competitività estera e un miglioramento della bilancia commerciale grazie alla riduzione della dipendenza energetica dall’estero.
Meno convincente invece la previsione di coperture attraverso l’inasprimento di alcune imposte ambientali come le imposte sui veicoli (per un incremento stimato di 1,9-6,8 miliardi) che avrebbero il contro effetto di indebolire la già fragile domanda interna e la persistente scarsa evasione di domanda di mobilità.