Lo storico che studiava la genesi della modernità
Ci sono coincidenze che assumono significati importanti. La scomparsa di Paolo Prodi alla vigilia dell’anno che avrebbe celebrato il 500° della Riforma protestante è una di queste. La sua lunga e operosa attività di storico è profondamente legata alla riflessione su quella svolta che nella storia europea e non solo si determinò fra la fine del XV e tutto il XVI secolo. Erano stati gli anni in cui l’intellettualità di tutta Europa si era interrogata, con una passione ed una intensità veramente straordinarie, sulla necessità di “riformare”. Prodi era arrivato a quegli studi su impulso di un grande riformatore cristiano, Giuseppe Dossetti, con cui ebbe poi un complicato rapporto: non un interesse puramente disciplinare, perché la “officina bolognese” che l’ex leader della sinistra Dc aveva messo in piedi lavorava per riprendere quel cammino di riforma della Chiesa che aveva avuto un momento forte nel Concilio di Trento, momento poi appannato in una “controriforma” che progressivamente perdeva di vista quel grande momento creativo.
Prodi si era formato scientificamente con Hubert Jedin a Bonn, il massimo studioso cattolico di quella fase ribollente, il quale aveva respinto la dizione stessa di “controriforma” per parlare invece di una “riforma cattolica”. Ciò che però caratterizzò questo esponente della “officina bolognese” fu la sua opzione a tutto tondo per la ricerca storica al di là e oltre quella matrice originaria. Sebbene avesse lavorato con Dossetti nel retrobottega della preparazione e poi della gestione del Concilio Vaticano II, non volle identificarsi nella parrocchia di coloro che si legavano principalmente alla battaglia intraecclesiale che sarebbe seguita.
Il suo orizzonte divenne quello di chi cercava un recupero a tutto tondo della forza della storiografia e più in generale della cultura umanistica per contribuire a trovare risposte alle domande profonde della nostra epoca. Rientra in quest’ottica la sua convinzione che fosse centrale ravvivare l’intercambio fra la civiltà latina e quella germanica. Di qui il suo buttarsi con entusiasmo nell’avventura di creare un nuovo tipo di università a Trento, dove fu rettore per un periodo, e soprattutto in quella di dar vita ad un Istituto Storico Italo-Germanico che sotto la sua guida, ma attivamente coadiuvato da Pierangelo Schiera e dalla moglie di questi Giuliana, divenne un centro importante della ricerca storica.
A testimonianza di quanto questo passaggio sia stato fondamentale nella sua evoluzione restano le opere della fase matura, quelle che tornano al tema della svolta della modernità, ma con un approccio più largo e al tempo stesso più problematico. Prodi diventava sempre più uno storico “costituzionale” secondo la grande tradizione germanica degli Otto Hintze e Otto Brunner. Il suo libro sul “Sovrano Pontefice” (1982) in cui ricostruiva la statualizzazione se così si può dire del vertice ecclesiastico segna l’ingresso in un tematica che si fa sempre più articolata: dal volume sul giuramento politico come fondamento della comunità fra governanti e governati (1992), alle indagini sulla storia della giustizia nel suo conflitto fra coscienza e diritto (2000), fino alla sua ultima ricerca sul rapporto tra mercato ed etica (Settimo non rubare, 2009).
Tutte queste ricerche potrebbero esser compendiate con il titolo che diede qualche anno fa al primo dei volumetti che raccolgono la sua ricchissima produzione di saggi di dimensioni più contenute, ma che definire “minori” sarebbe inappropriato: Storia moderna o genesi della modernità?
Questo interrogativo, per lui che era uno studioso ancora della generazione per cui la storia ha senso come “lungo periodo”, era rimasto centrale. L’ultimo suo scritto è infatti una appassionata riflessione sul tema del significato della Riforma, prodotto per il grande convegno che Silvana Seidel Menchi ed Heinz Schilling avevano organizzato a Trento a fine ottobre di quest’anno (proprio nell’Istituto da lui fondato) volendo proporre una riflessione a più voci sul tema della riforma in una prospettiva globale. Un testo che è davvero per tanti aspetti il suo testamento spirituale come storico e come intellettuale.