Piano Juncker, attivati 21 miliardi
In Italia il piano Junker ha finora finanziato 56 progetti con risorse per 2,5 miliardi che con l’effetto-leva alla base della strategia hanno attivato investimenti per 21 miliardi: da noi, quindi, si concentra al momento un sesto del target totale del programma europeo.
I numeri, rilanciati dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel Forum Rome Investment 2016 di Febaf, fanno del nostro Paese «uno dei maggiori beneficiari» di un piano che è stato accolto con un discreto scetticismo, ma inizia comunque a prospettare risultati che anche nella sempre complicata ricerca degli equilibri europei potrebbero dare argomenti a chi vuole dare più benzina alle politiche per la crescita. Il derby continuo tra «stabilità» e «crescita», cioè fra le due parole chiave del Patto europeo che però all’atto pratico si è sempre mostrato più attento alla prima, sono del resto risuonate come filo conduttore delle riflessioni del forum Febaf, e sono tornate al centro dell’intervento del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: «Bisogna andare avanti con l’Unione bancaria - ha detto Boccia - ma ci auguriamo che le regole e anche Basilea 4 non risultino un freno al finanziamento dell’economia reale e alla crescita».
Una crescita, ha ricordato ieri il neo-ministro per il Mezzogiorno Claudio De Vincenti, che serve prima di tutto a ridurre i confini della geografia del disagio, perché i fondi nazionali ed europei a disposi- zione dell’Italia devono servire alla creazione di «infrastrutture fisiche, ma anche sociali». In quest’ottica, il piano Junker «è un piano limitato - ha ricordato Luigi Abete, che della Federazione banche assicurazioni e finanza è il presidente - ma il fatto che ora sia in discussione un suo ampliamento mostra che puntarci, guardando il bicchiere mezzo pieno, non è stato sbagliato. Perché il livello di investimenti rimane troppo basso anche ora che la doppia recessione è superata».
Il piano targato con il nome del presidente della commissione europea, nel cui cantiere rientra anche l’accordo firmato venerdì fra la Cdp e la Bei sulle garanzie per gli investimenti nelle Pmi, resta comunque solo uno dei tasselli di una strategia che ha tra gli obiettivi dichiarati i tentativi di rilancio della crescita «attraverso un’azione congiunta sugli investimenti pubblici e privati».
La legge di bilancio ha allargato il ventaglio degli strumenti, dal rilancio del supe- rammortamento all’introduzione dei Pir che puntano a convogliare sugli investimenti industriali una fetta del risparmio degli italiani, ma da Via XX Settembre non si esclude l’esigenza di «valutare misure ulteriori».
Da questo punto di vista, il semaforo rosso acceso dal voto referendario non mette secondo Padoan in discussione il percorso delle «riforme strutturali, che vanno difese e sviluppate», accanto alla «piena attuazione» delle misure attuate.
I prossimi interventi, sostiene il ministro in linea con gli indirizzi indicati dal neopremier Paolo Gentiloni nel dibattito parlamentare sulla fiducia al governo, andranno declinate con l’obiettivo dell’inclusione e un occhio di riguardo al Mezzogiorno, per far crescere l’occupazione.
Proprio qui si innesta un altro collegamento referendario, tornato al centro del dibattito in attesa della Consulta che si pronuncerà sull’ammissibilità l’11 gennaio, riguarda il Jobs Act, altro oggetto dei rilanci del ministro dell’Economia: «Il mercato del lavoro sta migliorando grazie a questa riforma», taglia corto Padoan, e non può essere rimesso in discussione.
RISORSE E INVESTIMENTI Finanziati 56 progetti con risorse per 2,5 miliardi. De Vincenti: fondi nazionali e Ue devono costruire infrastrutture fisiche ma anche sociali