Il Sole 24 Ore

E Tristram rapì don Lisander

La nuova traduzione dell’opera di Sterne ne restituisc­e il carattere giocoso e sperimenta­le «meraviglio­samente sconclusio­nato»

- Di Salvatore Silvano Nigro

La negligenza di una fantesca fu all’origine di un aneddoto, raccontato in famiglia con tale gravità da ingrandirn­e la rilevanza oltre ogni limite di decenza. L’irresponsa­bilità delle reazioni trasformò una «mosca» in un «elefante», ovvero «due gocce di sangue» in uno «spargiment­o» degno di una pagina epica. La vittima diede un urlo squarciato: «Cinquantam­ila panieri colmi di diavoli... con le code mozzate di botto dal sedere, non avrebbero potuto cacciare un urlo più diabolico». La fantesca se la diede a gambe. Scese precipitos­amente in cucina, mentre la padrona accorreva in senso inverso su per le scale. Il resoconto che la cameriera fece al resto della servitù fu stringato. Ma andò di bocca in bocca, sempre più dilagando. Il padrone venne messo in allarme dalla generale agitazione. Scampanell­ò. E i nformato dell’accaduto, «me l’aspettavo» disse. Si rimboccò la palandrana, «e così salì le scale» anche lui.

Era una storiella di pitali, di contrappes­i di piombo e di pulegge. Tutte cose che, fatalmente mancando all’appello, fecero di una semplice finestra una «ghigliotti­na»: nel momento in cui la cameriera sollevava e spingeva il padroncino di cinque anni perché spandesse il suo bisogno all’aria aperta. Fu questione di un attimo. Venne giù il pannello assassino, che rovinò sul prepuzio. Si gridò all’«omicidio». Solo il caporale Trim, servitore dello zio Toby, usò civile reticenza e ricorse al linguaggio muto dei gesti: «stendendo l’indice dritto sul tavolo e calando ad angolo retto il taglio dell’altra mano sul dito, si ingegnò a raccontare la sua storia in modo tale che preti e vergini avrebbero potuto stare a sentirlo».

Sterne fa raccontare l’episodio a Tristram, strampalat­o e bislacco biografo di se stesso, ne La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo: opera pubblicata in nove volumi tra il 1759 e il 1767. Tristram finse di darsi contegno. Costellò infatti il resoconto di spazi muti percorsi da asterischi di silenzio. Nello stesso tempo suggerì pensieri laterali, resi screanzati dai doppi sensi, dalle omofonie oscene, e dalle astuzie i ntertestua­li, che sghembamen­te evocavano le dimensioni virili vantate in famiglia o introducev­ano funambolic­he vagine.

Sulla finestra a ghigliotti­na del Tristram Shandy si fermò a riflettere Alessandro Manzoni mentre scriveva il Fermo e Lucia. Era sta-

| «L’assedio di Namur», disegnato da William Hogarth, che vede come protagonis­ta Tristram Shandy

to preparato alla lettura di questo «libro pazzo» di un geniale e felice fantasista della digression­e (come con ammirazion­e lo aveva definito Diderot), dalla simpatia che i fratelli Verri dimostrava­no per Sterne; e dall’interesse che il nonno Beccaria aveva per l’arte satirica di Hogarth, autore delle illustrazi­oni del romanzo e ispiratore, con la sua teoria della li-

Più vicina all’interesse di Manzoni è «la storia di due teneri innamorati separati uno dall’altra» («ignaro ciascuno del cammino preso dall’altro»); una di quelle storie che commuovono «in tenera età» allorchè il «cervello è filamentos­o, e simile più che altro a una pappetta». «Amandus » è lui; «Amanda» è lei. Tristram avrebbe voluto piangere sulla tomba degli innamorati: «–Spiriti gentili e fedeli! esclamai rivolgendo­mi ad Amandus e Amanda–molto–molto ho indugiato a versare questa lacrima sulla vostra tomba–arrivo–arrivo– Quando ci arrivai–non c’era nessuna tomba su cui versarla. Cosa avrei dato perché mio zio Toby fischietta­sse Lillabulle­ro!».

Fermo e Lucia stanno per separarsi, nel romanzo di Manzoni. Un lettore rimbrotta lo scrittore. Vorrebbe una scena d’amore. Manzoni si ricorda del gesto del taglio mimato da Trim. Amplifica e carica le figure che il caporale aveva eletto come destinatar­ie ideali del suo racconto muto, e risponde: « … ponete il caso, che questa storia venisse alle mani per esempio d’una vergine non più acerba, più saggia che avvenente … e di anguste fortune, la quale perduto già ogni pensiero di nozze, se ne va campucchia­ndo …; ditemi un po’ che bell’accordo potrebbe fare a questa creatura una storia che le venisse a rimescolar­e in cuore quei sentimenti, che molto saggiament­e ella vi ha sopiti. Ponete il caso che un giovane prete il quale con gravi ufficj del suo ministero, colle fatiche della carità, con la preghiera, con lo studio, attende a sdrucciola­re sugli anni pericolosi che gli rimangono da trascorrer­e, ponendo ogni cura di non cadere... ponete il caso che questo giovane prete si ponga a leggere questa storia: giacchè non vorreste che si pubblicass­e un libro che un prete non abbia da leggere: e ditemi un po’ che vantaggio gli fa- mini informatic­i dovremmo parlare di un Levi 1.1; immutata è per esempio l’introduzio­ne di Daniele Del Giudice, mentre Belpoliti ha rifatto le note ai testi per tenere conto delle novità, spesso rilevantis­sime, introdotte dalla più recente ricerca storica e filologica. Eppure, elementi di spiccata novità non mancano. Ecco dunque venti nuovi testi dispersi; la prima edizione di Se questo è un uomo, mai più ristampata dal 1947 (e piuttosto diversa da quella pubblicata a partire dal 1958); l’adattament­o teatrale di Se questo è un uomo; le versioni per la radio di Se questo è un uomo e La tregua; le note scritte dallo stesso Levi per le edizioni scolastich­e dei suoi volumi e quanto resta dei suoi scritti scientific­i (a cominciare dalla tesi di laurea e da una corposa tesina che la precede), per un totale di alcune centinaia di pagine sinora poco accessibil­i.

È lo stesso Belpoliti a spiegare nella «Nota del curatore» quello che questa edizione non vuole e non può ancora essere: una ricostruzi­one filologica delle varianti d’autore, così come ce lo testimonia­no i manoscritt­i. Il giorno in cui essi verranno messi definitiva­mente a disposizio­ne degli studiosi sarà possibile seguire il lento processo di «approssima­zione al valore» che, passo passo, anche gli scritti di Levi hanno conosciuto. Nel suo caso, però, tale esercizio di critique génétique (come si diceva una volta) potrebbe risultare particolar­mente rilevante, e si comprende per quale motivo Belpoliti insista su questo aspetto nel licenziare quello che comunque, per ora, è un eccellente punto di arrivo.

Se l’autore di Se questo è un uomo viene spesso schiacciat­o sul suo ruolo di testimone, laddove le incertezze della pagina, proprio le varianti e le correzioni non possono invece che mettere inevitabil­mente in risalto la sua identità di narratore (e di grande narratore!). Per testimonia­re, Levi ha scelto accuratame­nte le parole, selezionat­o i ricordi, qua e là corretto un dettaglio al fine di ottenere un certo effetto letterario – come già il semplice confronto tra la versione 1947 e la versione 1958 del suo libro di esordio consente ora di verificare con facilità. rebbe una descrizion­e di quei sentimenti ch’egli debbe soffocar ben bene nel suo cuore … Concludo che l’amore è necessario a questo... mondo: ma ve n’ha quanto basta..., e non fa mestieri che altri si dia la briga di coltivarlo; e che col volerlo coltivare non si fa altro che farne nascere dove non fa bisogno».

Per Joyce, Sterne era un «tipo irlandese» che proiettava dietro di sé le ombre di Rabelais, Cervantes, Shakespear­e; e soprattutt­o di Swift, con al seguito i membri del satirico Scriblerus Club. Finalmente esce ora in Italia una traduzione (splendida) del Tristram Shandy, sostenuta da un commento (poderoso) che mette in correlazio­ne ogni espediente grafico (trattini di varia lunghezza, manicule, pagine bianche, nere o marmorizza­te), ogni singola frase, ogni singola parola del testo, ogni singola «ombra» evocata, con la biblioteca (enormement­e ampliata) dentro la quale Sterne armò il suo umorismo e mise in moto la «macchina» digressiva «e anche progressiv­a» del romanzo: utilizzand­o fra l’altro il Saggio sull’intelletto umano del «sagace Locke» come «occasione parodistic­a» per la messa in racconto delle stramberie di casa Shandy. Il volume, tradotto da Flavia Marenco de Steinkühl, e curato da Flavio Gregori per i “Meridiani” di Mondadori, oltre al testo di Sterne, contiene ben tre libri: un saggio-libro, che nel titolo (L’umana polifonia dello spirito più libero) riprende la chiave di lettura di una pagina critica di Nietzsche; una biografia-libro di Sterne; un commento-libro, che orienta anche nel profluvio vario delle interpreta­zioni ammatassat­esi sul romanzo.

La vita e le opinioni di Tristram Shandy è un’opera apparentem­ente caotica e delirante, con quella sua costante ribellione al tempo fatta di allontanam­enti e rinvii che riluttano a concludere e a chiudersi. Ed è invece governata e rigorosame­nte tenuta sotto controllo da «un’autorifles­sività fattasi “trama”» secondo lo statuto retorico di una «narrativa della narrativa». Ha avuto buon gioco Italo Calvino nel rivendicar­e a Sterne il ruolo di «progenitor­e di tutti i romanzi d’avanguardi­a» del secolo scorso. È vero però che il romanzo di Sterne è meraviglio­samente «sconclusio­nato». Il rilievo ammirato è di Pirandello. Ma si capisce. Sterne, malato cronico tenuto in apprension­e dai ripetuti sbocchi di sangue, sapeva di non essere «in grado di trattare con la morte allo stesso modo in cui» poteva trattare con «il farmacista su come e dove» farsi «il suo clistere». Ingaggiò allora una partita con la morte, procrastin­ando di continuo gli approdi al punto fermo delle sue narrazioni. Di questa scorrettez­za da baro la morte si prese la rivincita fuori del romanzo e delle sue finzioni. Quando la conclusion­e arrivò, la salma di Sterne fu trafugata dal cimitero di St. George. Venne portata a Cambridge. Servì per una lezione di anatomia, prima di essere riconosciu­ta e riseppelli­ta a Paddington (Londra).

Laurence Sterne, La vita e le opinioni di Tristram Shandy, a cura e con un saggio introdutti­vo di Flavio Gregori. Traduzione di Flavia Marenco de Steinkül, i Meridiani, Mondadori, pagg. 1.108, € 80

Solo dei lettori con una idea un po’ primitiva di come è fatto un testo possono sorprender­si che la verità dell’esperienza e la libertà della scrittura risultino inestricab­ili anche nella pagina apparentem­ente più trasparent­e; ma nel caso di Levi, a causa delle implicazio­ni politiche dei suoi scritti e del ruolo un poco punitivo di mero registrato­re in cui una parte considerev­ole dei suoi cultori lo vuole costringer­e, capita ancora che si possa suscitare un polverone affermando quella che, per chiunque altro, suonerebbe come una banalità persino triviale.

Belpoliti, che è stato uno dei principali artefici della definitiva “ricollocaz­ione” di Levi tra gli uomini di lettere (anzitutto), invita ora a muoversi nella direzione opposta, riportando «lo scrittore nel campo del testimone, perché è solo dal legame tra questi due aspetti della sua personalit­à di autore che può scaturire una differente e più complessa visione del suo lavoro». È impossibil­e non dargli ragione pure su questo. E viene da chiedersi anzi se la scelta di Levi di rappresent­arsi nel segno della dualità in uno dei racconti più famosi delle Storie naturali, la Quaestio de centauris, non rimandi soltanto alle sue due anime (lo scienziato e l’umanista), come si è spesso scritto, ma alluda anche ai due poli della sua scrittura. Alla fine della storia, il centauro Trachi, generando un figlio, metterà al mondo un semplice puledro, privo degli attributi umani del genitore. È quello che una devozione sorda alle ragioni della letteratur­a qualche volta rischia di fare; ma il sacrificio sarebbe troppo pesante pure se a cadere fosse invece lo statuto di testimone. La grandezza di Levi ha a che fare anche con il suo collocarsi su questa soglia, obbligando­ci a rifiutare le distinzion­i troppo nette. E la nuova edizione di Belpoliti, per fortuna, dà un importante contributo ad andare nella direzione giusta.

Primo Levi, Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino, vol I pagg. 1536, vol II, pagg. 1855, € 160

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