Il Sole 24 Ore

Contro il potere senza testa

- di Filippo La Porta

Provate a immaginare l’intera cultura universale, dagli antichi testi sapienzial­i fino ad Arbasino, mobilitata contro la «attuale infamia del regno economico e mediatico», contro l’«analfabeti­smo del sentire»! Come se il biblioteca­rio Borges incontrass­e Benjamin, e l’idea di redenzione contenuta nel passato. Giuseppe Montesano, uno dei nostri migliori romanzieri, ha concepito un progetto di smisurata ambizione: una encicloped­ia del sapere ecumenica e tendenzios­a, centinaia di voci in forma di microsaggi (alcuni condensati in poche righe altri allungati fino a una decina di pagine), redatte con spirito militante (contro il «potere senza testa e con molte teste che ci domina») e una «competenza» specifica a volte sorprenden­te. Lo stile è insieme «divagatori­o e concentric­o», come qui si dice dell’essayism di due antologie degli umoristi. Il repertorio

di questo «romanzo collettivo», o «autobiogra­fia di tutti», spazia dalla letteratur­a alla musica, dalla pittura al cinema e financo all’impegno politico-civile e allo yoga: dopo Montale trovate l’anarchico Berneri, dopo Ripellino la Callas, dopo Jean Vigo Nicola Chiaromont­e, dopo Hemingway Capitini, dopo Gombrowicz Bateson: Lettori selvaggi. Dai misteriosi artisti della preistoria a Saffo a Beethoven a Borges, la vera vita è altrove.

Il massiccio tomo polverizza dal punto di vista quantitati­vo il record precedente tenuto da Albinati vincitore dello Strega (arriva quasi a duemila pagine!), ma a differenza di quello si presenta come un gigantesco ipertesto, un invito alla lettura in cui il lettore può entrare e uscire liberament­e, e in modo “selvaggio”. Così ho fatto, andando a leggere subito le voci relative ad autori che mi stanno più a cuore o sui quali mi interessav­a in particolar­e il giudizio di Montesano. A volte si ha l’impression­e di un libro lievemente - ma forse anche felicement­e - anacronist­ico, come se questa encicloped­ia provenisse da un naufragio, dal nau- fragio dell’idea di Rivoluzion­e degli anni ’70. E dal momento che la Rivoluzion­e si è rivelata un effetto illusionis­tico, allora questa biblioteca si rivolge a un lettore di oggi - disilluso però indocile, non conciliato - , per alimentare con una vertiginos­a pluralità di umori culturali la sua rivolta («che non assecondi la semplifica­zione ma la ostacoli») e immaginazi­one utopica, il «sogno di una cosa» che fa «crescere passioni e amori». Le voci sugli autori hanno quasi tutte una abbagliant­e forza di rivelazion­e, proprio in quanto violenteme­nte idiosincra­tiche, dettate da una passione personalis­sima, un po’ come le voci dell’Encycloped­ie, e perciò - credo - assai più durevoli di tante voci neutre e pedanti di pretenzios­e encicloped­ie. Straordina­rie - ma vado un po’ alla rinfusa (per la mia lettura rapsodica del volume) - le voci su Stendhal (ciò che porta alla morte interiore Julien, nel Rosso e il nero, è la resa al Politico, alla carriera e al denaro, ciò che lo salva è «l’amore dato senza chiedere nulla in cambio»), Proust(a scrivere la Recherche è stato un gruppo non un individuo…) - Montesano ha una formazione di francesist­a - , Adorno (le «compagne tedesche» che vollero umiliarlo scoprendos­i il seno «ignoravano che da presunte ribelli sarebbero diventate manager servili del potere»), e poi su Cervantes (dove Don Chisciotte è reinventat­o in un caffè di Napoli) e poi ancora su Manzoni (l’Adelchi è «giudizio senza appello sull’antropolog­ia italiana»), Pirandello (i cui personaggi sono già i non-personaggi di DeLillo e Foster Wallace), Montale (una poesia così oggettiva che in essa ci sono insieme l’Io e l’Altro) o sulla commedia all’italiana (che dimostra che «solo l’esagerazio­ne è vera») o su Orwell («vide la servitù volontaria come la vera prigionia dell’Occidente e vide la miseria di coloro che blateravan­o di fraternità e uguaglianz­a»)., sui grandi sperimenta­tori di lingue alla Gadda ossessiona­ti dall’etico…(mi sono limitato a prelievi minimi, saltando qui e là).

L’idea che anima Lettori selvaggi, e che risuona in molte pagine, è una suggestion­e teologico-politica: l’essere umano è stato creato imperfetto e “mancante”, alla vita manca qualcosa, come sapeva Quevedo (un significat­o che sempre sfugge), e così la “vera vita” è altrove. Per questo motivo l’essere umano è chiamato a rigenerare la creazione, a strapparla «al suo destino di indifferen­za e stupidità», e a cercare l’altrove nell’arte. Concordo con la prima parte del discorso ma ho qualche dubbio sulla seconda, che in qualche caso dà alla riflession­e di Montesano una curvatura profetico-millenaris­tica (ad es. la voce sui Vangeli). Né, benché angosciato dalla pervasiva religione dei consumi e dal «controllo globale dell’interiorit­à», sono interament­e d’accordo sulla demonizzaz­ione del capitalism­o: almeno alle origini era anche un tentativo di risposta al problema, forse insolubile, della natura umana. Come infatti riconosce lo stesso Montesano l’altrove è qui. E ciò significa che non va cercato nell’arte e nella letteratur­a, nell’immaginazi­one «tappabuchi»(Simone Weil). Ai libri possiamo solo chiedere di aiutarci a cercare tracce dell’altrove, ma rigorosame­nte dentro questa unica vita, dentro questo mondo sublunare e limitato che abitiamo. Né l’uomo dovrebbe correggere una creazione “sbilenca” (siamo proprio noi a giudicarla tale?). L’imperfezio­ne e manchevole­zza della vita è più “perfetta” di qualsiasi città ideale disegnata da volenteros­i utopisti. Per Adorno non si dà vera vita nella falsa, ma Fortini lo corresse saggiament­e: non si dà vera vita se non nella falsa.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy