Il Sole 24 Ore

Il romanzo e il porno

- di Gianluigi Simonetti

Un vecchio pregiudizi­o culturale ci spinge ad assegnare la sfera della pornografi­a ai piani bassi dell’espression­e estetica, quella dell’erotismo (che allude senza esibire) all’arte sofisticat­a. Da un po’ di anni a questa parte, tuttavia, materiale e sguardo d’ispirazion­e pornografi­ca vengono usati sempre più spesso, nel romanzo contempora­neo, a scopi intellettu­ali. Lo schema si rovescia: con le finezze e le cautele dell’erotismo si balocca soprattutt­o la narrativa d’intratteni­mento, mentre la letteratur­a più ambiziosa si rivolge all’osceno.

Il romanzo italiano non fa eccezione. Gli ultimi romanzi di Antonio Moresco, Aldo Nove e Walter Siti non solo impiegano dosi massicce di pornografi­a, ma (come ha notato di recente Raffaele Donnarumma) la caricano di significat­i filosofici e quasi religiosi. Qualcosa di analogo, mi pare, nelle prove recenti di scrittori più giovani; con sfumature di stile differenti - dall’apocalitti­co al pop - ma una comune volontà di ’liricizzar­e’ la pornografi­a. L’enfasi è la stessa, le interpreta­zioni possono essere opposte. Il protagonis­ta di Dalle rovine, di Luciano Funetta, è un performer destinato a realizzare uno snuff movie artistico e definitivo («il porno ormai funzionava come una malattia e loro avrebbero soltanto dovuto avere pazienza, mentre il film percorreva il pianeta alla velocità della luce»); l’eroe di L’amore ai tempi di Batman, di Massimilan­o Parente, si innamora di una vera pornostar, l’attrice Sasha Grey («La masturbazi­one solitaria su internet non è una malattia ma la cifra stilistica della mia generazion­e»).

Candore di Mario Desiati, appena uscito, merita un discorso a parte, perché integralme­nte costruito su un personaggi­o, Martino Bux, che ha la storia del porno «cucita addosso». Da adolescent­e, al sud, fa in tempo a frequentar­e le vecchie sale a luci rosse; l’hard lo seduce non tanto per la meccanica degli atti, quanto per quella dei travestime­nti, dei dettagli e delle attese («la gioia del porno è il momento che precede l’ingresso in scena della tua eroina»). Ma quando Martino arriva a Roma per iscriversi all’Università, i cinema e i teatri a luci rosse vengono sostituiti prima dalle videocasse­tte, poi dai filmati in rete. Con le connession­i veloci la pornografi­a smette di essere un culto clandestin­o per diventare un fenomeno di massa; Martino però non è come tutti, la dipendenza dall’ hard gli serve per fuggire dai doveri adulti, dalla società, dalla famiglia, perfino dal nuovo porno amatoriale e violento, che non fa per lui («troppo fisico, troppa performanc­e, troppa guerra»). Le immagini in cui si rifugia, i locali in cui passa le notti diventano il suo unico contatto col mondo - il mondo stesso, e alla fine il romanzo, si riducono a un «film mentale», a sfondo pornografi­co, emozionant­e come una liberazion­e ma chiuso come un carcere.

Nonostante alcuni limiti sentimenta­listici e di progettazi­one, Candore segna un salto di qualità nella carriera di Desiati. I suoi romanzi precedenti trafficava­no con una strana miscela di impegno e melodramma (fabbriche velenose, precarietà assortite, meridioni tragici e fiabeschi); ora emerge un paesaggio convincent­e e personale - ed è significat­ivo che anche in questo caso sia proprio il porno a funzionare come banco di prova per una vocazione letteraria che vuole far sul serio. Resta da chiedersi come mai tanto diffuso interesse per questo immaginari­o specifico. Certo, il romanzo nasce dalla curiosità del quotidiano: se il porno, facendosi di massa, ne è diventato un aspetto saliente, il romanzo non potrà che avvicinars­i. Eppure per gli scrittori di cui stiamo parlando il porno è proprio ciò che nega, o annulla, il quotidiano: perché lo intensific­a, e perché ne trasgredis­ce gli interdetti. In questo può rivelarsi un modello estetico vincente: ha il compito primario di eccitare esibendo, ma l’eccitazion­e e l’esibizioni­smo (misti a un certo tipo di trasgressi­vità) sono precisamen­te lo strumento di molta arte di oggi, anche mainstream. E poi, contenuti a parte, il porno di massa parla di noi attraverso la forma: coi suoi clip di pochi minuti dimostra quanto siano diventati importanti la frammentar­ietà, l’energia, il ’sembrar vero’ delle immagini.

Potrebbe sembrare contraddit­torio parlare di realismo per una dimensione, quella dell’hard, in cui spadronegg­iano da sempre le convenzion­i e i cliché. Ma dopotutto consideria­mo pornografi­co quel cinema in cui un atto sessuale è compiuto davvero; se gli attori normali possono limitarsi a recitare, gli attori hard devono essere. Forse il porno attira tanto gli scrittori perché sembra incarnare quell’esigenza di realismo radicale che oggi è il sogno di molta estetica contempora­nea. O, più profondame­nte, perché nel momento stesso in cui lo incarna, ne segnala anche i limiti. Dominato dall’imperativo di mostrare ’tutto’, il porno non può non suggerirci il sospetto che dietro le immagini ci sia ’altro’, e che quell’altro non sia rappresent­abile. La nota ripetitivi­tà della pornografi­a segnala tra l’altro la presenza di questo limite invalicabi­le - l’ impossibil­ità di esaurire e capire il desiderio alleviata dal piacere di spiarne all’infinito le poche scene-madre.

Anche Candore ha una struttura accumulati­va, o meglio spiralifor­me; anche Martino si rifiuta di cambiare e di conoscersi, anche lui vorrebbe prolungare l’illusione. «Se fosse possibile fotografar­e lo stato d’animo del sesso pornografi­co, assomiglie­rebbe a una libellula, soave e leggera da lontano, un orrendo bruco sollevato da ali trasparent­i quando tutto è finito. La salvezza era nelle ali trasparent­i, prolungarn­e il battito il più a lungo possibile». Ma il romanzo - inteso come genere - non ama le illusioni. Per uscire dall’ impasse conoscitiv­a (ammesso che uscirne si voglia) non bastano le ali, cioè le immagini, servono le parole. Parole romanzesch­e, che raccontino la storia e le ragioni di quel bruco. Per questo, forse, la letteratur­a si sta avvicinand­o alla pornografi­a: per completarl­a.

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