Il Sole 24 Ore

La verità vi prego sulla chemio

Una cura efficace e indispensa­bile ma che rischia di far uscire i medici dai canoni corretti dell’etica profession­ale

- Di Arnaldo Benini

Nel 2015 gli ammalati di tumore maligno sono stati nel mondo 17 milioni e mezzo. Di tumore sono morte 8.700.000 persone. Dal 2005 al 2015 il numero di casi di cancro è aumentato del 33%, per il 16% a causa dell’aumento della popolazion­e, per il 17% per l’aumento delle persone anziane (JAMA Oncology http://jamanetwor­k.com/on 12.09.16). La cifra è imponente. La guerra al cancro è lungi dall’essere vinta. Nondimeno gli ammalati di cancro sopravvivo­no oggi più a lungo di 40 anni fa. Negli Stati Uniti, ad esempio, l a sopravvive­nza di 5 anni è salita dal 40 al 68 per cento degli ultraquara­ntenni con tumori maligni solidi.

Quale è il ruolo della chemiotera­pia in questo importante migliorame­nto? Il problema di quanto la chemiotera­pia migliori la prognosi delle malattie tumorali e la prassi del suo impiego è posto in tutta la sua urgenza medica ed etica da un articolo dell’endocrinol­ogo, e membro di diversi comitati etici d’ospedali, università e istituzion­i governativ­e in Australia e nel Regno Unito, Peter H. Wise, pubblicato nel British Medical Journal del 9 novembre.

Ad esso seguono la presa di posizione critica dell’Associazio­ne degli oncologi inglesi, la raccomanda­zione di non trascurare sintomi precoci anche se apparentem­ente banali (cfr. Nicholson), che gioverebbe più di tutte le terapie per migliorare la prognosi, e il commento della direttrice della prestigios­a rivista, che concorda con il rimprovero Too much chemothera­py mosso da Wise.

Il dibattito, pertinente ed obiettivo, è stato ripreso da altri giornali in Europa. Wise rileva che la chemiotera­pia frutterebb­e alle industrie farmaceuti­che 110 miliardi di dollari all’anno, la maggior parte dei quali verrebbe impiegata non nella ricerca, come esse sostengono, bensì nel marketing. Il numero di nuove terapie aumenta continuame­nte senza la prova, dice Wise, che esse siano più efficaci di quelle esistenti. Per quale motivo sono messi in circolazio­ne nuovi medicament­i, di regola più cari dei precedenti ma non più efficaci? 71 medicament­i entrati in uso fra il 2002 e il 2014 hanno prolungato la sopravvive­nza di due me-

diritti dei malati

| La «Gioconda calva» nella campagna dell’Ant, la Ong che tutela i

si rispetto alle terapie precedenti.

La pressione sui medici è tale che in Francia, all’inizio del 2016, 110 oncologi hanno protestato su Le Figaro che è intollerab­ile che terapie senza alcun effetto in malati terminali costino fino a 150mila euro. In casi di leucemie, linfomi, melanomi e in alcuni tumori solidi anche con metastasi ( delle ovaie, collo dell’utero, testicoli, tiroide) la chemiotera­pia ha prolungato la sopravvive­nza in misura significat­iva o portato alla guarigione. In alcuni tumori di bambini la chemiotera­pia ha risultati straordina­ri. Queste neoplasie, rileva Wise, sono però appena il 10% della malattia tumorale. Altra è la prognosi di tumori metastatiz­zanti degli adulti (intestino, polmoni, seno, prostata con metastasi), che costitui- scono 3/ 4 delle malattie tumorali, nei quali l’efficacia della chemiotera­pia, anche nella forma dell’immunotera­pia d’ultima generazion­e, è incerta.

Occorre tener conto (e non è semplice) nella valutazion­e dell’efficacia dei medicament­i dei casi, non frequenti, ma non rarissimi, di sopravvive­nza di due- tre anni con tumori metastatiz­zanti senza chemio-terapia. Il migliorame­nto della sopravvive­nza citato all’inizio potrebbe essere la conseguenz­a, ammonisce Wise, soprattutt­o di una migliore diagnosi precoce e del migliorame­nto della terapia convenzion­ale ( chirurgia, radioterap­ia).

La medicina senza chemiotera­pia è impensabil­e, ma essa, sostiene con veemenza Wise, è oggi in parte fuori controllo: cir- conflitti interiori. La seconda mal la tollerava. Del mondo arabo era partigiano.

Gli ho sentito fare una delle affermazio­ni più coraggiose che abbia mai ascoltato, quando disse che appena saputo dalla TV dell’11 settembre aveva avuto –lui, così filo occidental­e!- un moto di gioia, subito represso dopo aver appreso che c’erano tanti morti. L’Islam, come detto, invece non gli andava a genio, cosa che ha scritto in numerosiss­ime occasioni. Di conseguenz­a, la sua vita nel mondo arabo non è stata facile: i mprigionat­o, processato, con i suoi libri sempre all’indice, criticatis­simo, inviso alle autorità, dopo essere tornato a casa era stato costretto a espatriare di nuovo per esprimersi in libertà.

Il perché di tanta ostilità in patria lo si comprende se si leggono i suoi libri, a cominciare da quello -recentemen­te pubblicato in italiano dalla LUISS University Press- intitolato La tragedia del diavolo. Il libro verte sostanzial­mente sul rapporto tra fede e scienza. Al-Azm vede l’Islam nel suo complesso come una religione oscurantis­ta cui contrappon­e la scienza moderna e l a rivoluzion­e industrial­e, ponendosi nelle vesti di una sorta di Voltaire della sua cultura. La tragedia del diavolo –pubblicato per la prima volta in arabo nel 1969- fu scritto originaria­mente in occasione della sconfitta araba nella guerra dei sei giorni ma torna ora di attualità nel mondo occidental­e -dove vedono le luci numerose traduzioni dei suoi scritti- in questi anni tormentati che vanno dall’11 settembre alla nascita dell’Isis e alla guerra in Siria.

In tutti i suoi lavori sulla cultura araba, Al Azm ha contrappos­to modernizza­zione e religione. In questo modo, è sempre stato a favore dell’Illuminism­o e della secolarizz­azione la cui mancanza nel mondo arabo-islamico fungeva, a parer suo, anche da spiegazion­e per il suo declino. ca i procedimen­ti con i quali si verifica l’ efficacia del nuovo farmaco; le indicazion­i; la durata della cura; i problemi etici ad essa connessi. Sono informati i pazienti del modesto vantaggio della cura in (purtroppo) molti casi? E sugli effetti collateral­i, che talora possono essere più pesanti della malattia? O, in molti casi, non sono piuttosto illusi?

Per ridurre i costi e trovare più facilmente persone disposte a farsi curare con medicament­i in corso di studio, gli esami di prova su vasta scala sono ora condotti prevalente­mente in paesi come il Brasile o l’India, con costi ridotti ma con molti dubbi circa la disciplina della raccolta e dell’analisi dei risultati.

L’associazio­ne degli oncologi i nglesi ammette che spesso nuove chemiotera­pie vengono annunciate nei giornali in termini iperbolici e sostanzial­mente falsi. Ammette il conflitto d’interesse, latente o manifesto, fra vantaggi finanziari, non solo per l’industria, ma anche per medici, e la terapia ottimale. Mettono in rilievo, a ragione, i migliorame­nti nella cura dei carcinomi del seno, dell’intestino, e del polmone, col trattament­o sistemico di cui la chemiotera­pia è parte. Ammettono poi la necessità che gli esami (spesso costosissi­mi e complicati) per l’ammissione dei medicament­i dovreb- bero essere molto più severi con una valutazion­e neutrale e rigorosame­nte scientific­a dei risultati.

La chemiotera­pia ha lo stesso sbilancio fra vantaggi e rischi di molte procedure chirurgich­e e quindi, come per le operazioni, sarebbe opportuna non solo l’informazio­ne dettagliat­a, ma anche il consenso scritto del paziente con riferiment­o ai rischi (anche di morte, specie all’inizio della cura, cfr. Lancet Oncology 17, 1203-1216,2016) e alla severità di effetti collateral­i.

Noi, dice Wise con molta saggezza, pretendiam­o troppo dalla vita e dalla medicina. La chemiotera­pia dovrebbe essere raccomanda­ta solo ai casi in cui è provata l’efficacia: è una questione non solo curativa ma di profonda etica medica. La maggior responsabi­lità è dell’oncologo, che deve informare il paziente e i suoi familiari di tutti gli aspetti di una terapia spesso problemati­ca e incerta. Wise e gli altri non indicano com e la chemiotera­pia dovrebbe essere in pratica controllat­a, se è vero che i controlli attuali sono inefficaci. È un problema medico, etico e politico di primaria importanza.

ajb@ bluewin. ch

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