Madrina di Michelangelo
La marchesa di Pescara donò al grande artista i suoi sonetti, lui le diede alcuni disegni da cui traspare il suo approccio eterodosso
on meno famosa tra le persone pie per le sue singularissime virtù christiane che illustre fra poeti famosi per li suoi versi divini», come si scriveva nel 1548, Vittoria Colonna assurse a grande fama nell’età sua, tanto da essere giudicata meritevole secondo Claudio Tolomei di essere non solo «honorata, ma riverita e adorata dal mondo». Nata nel 1490 e discendente del più potente casato dell’aristocrazia romana, ebbe un ruolo decisivo nel traghettarne le fortune durante i convulsi decenni delle guerre d’Italia, quando gli immensi feudi colonnesi tra il Lazio, l’Abruzzo e il Napoletano ebbero un ruolo politico e militare tutt’altro che secondario. Difficile era stato il suo compito di pacificazione con papa Clemente VII dopo le gravi responsabilità della sua famiglia nel sacco di Roma del 1527, del quale l’anno prima il cardinale Pompeo Colonna aveva fatto una sorta di prova generale. Un illustre cardinale che la conobbe da vicino disse che «la maggior parte delli suoi ragionamenti era […] delle cose di Stato, delle quali faceva professione grande», al punto che anche una vecchia volpe come papa Paolo III Farnese la stava ad ascoltare, cercava di avvalersi della sua ragionevolezza quando quello sventato di suo fratello Ascanio si sollevava in armi contro di lui, e giungeva al punto di consultarla in vista della sua successione. Ma a renderla celebre furono soprattutto la sua attività poetica e il suo impegno religioso, strettamente legati tra di loro.
Nel 1519 la Colonna si sposò con Ferdinando Francesco d’Avalos, cui era stata promessa in sposa fin dalla primissima infanzia. Rampollo di un illustre famiglia napoletana, anch’essa approdata a scelte politiche filoimperiali, il d’Avalos era tuttavia destinato a morire pochi anni dopo, nel ’25, a causa delle ferite riportate nella battaglia di Pavia, dove aveva guidato l’esercito di Carlo V alla vittoria e addirittura alla cattura di Francesco I di Valois. Da
| Il Mosè di Michelangelo, all’interno del complesso della Tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli, è stato ripulito dalla Soprintendenza per il Colosseo e dall’area archeologica e centrale di Roma, grazie al Gioco del Lotto che ha sostenuto l’operazione
tunno del Rinascimento, gettano luce i molti saggi raccolti in questi due volumi, specie nel primo e più ampio, mentre l’esile introduzione del secondo formula promesse di novità non sempre mantenute, per esempio per la storia di genere, nonostante esso accolga saggi scritti solo da donne, con un taglio prevalentemente letterario. Pressoché assente, per esempio, è la tematica che investe il mondo dell’arte, non foss’altro in relazione agli intensi legami tra Michelangelo e la Colonna, «del cui divino spirito era inamorato, essendo all’incontro da lei amato svisceratamente» (secondo le parole di Ascanio Condivi), che in lei trovò una sorta di madre spirituale, capace di condurlo lungo la stessa strada in cui la nobildonna era stata guidata dal cardinal d’Inghil-
terra. A lui la marchesa di Pescara donò un prezioso manoscritto con i suoi sonetti, e a lei il grande artista toscano donò alcuni celebri disegni, dai quali traspare quella stessa spiritualità eterodossa che si intravede negli ultimi affreschi di Michelangelo della cappella Paolina, nei capolavori scultorei della vecchiaia come la straordinaria Pietà Bandini e nei versi in cui egli si rivolgeva a Cristo come unica fonte di speranza: «Non mirin co’ iustizia i tuo sant’ochi / il mie passato, e ’l gastigato orecchio; / non tenda a quello il tuo braccio severo: / Tuo sangue sol mie colpe lavi e tocchi».
Sul tema del Michelangelo eretico è tornato più volte in questi anni Antonio Forcellino, anche se con più entusiasmo che documenti, concentrandosi soprattutto sulla tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli che ospita la celeberrima statua del Mosè, di cui ha ora ultimato il restauro, portando così a compimento il lavoro avviato 15 anni fa. Un ottimo lavoro, che ha prodotto risultati significativi, come per esempio l’individuazione dell’autografia michelangiolesca anche per la sovrastante statua del pontefice sdraiato. Priva di ogni fondamento è invece la lettura in chiave filoprotestante delle due statue laterali dedicate alla vita attiva e alla vita contemplativa, che non mi pare trovare conferma alcuna dalla scoperta che la prima è esemplata su una Maddalena di Polidoro da Caravaggio a San Silvestro al Quirinale, dove la Colonna si incontrava con Michelangelo e con il Pole (che tutto fu meno «un covo di eretici», come si legge nell’articolo di Emanuele Trevi, L’eresia di Michelangelo, «La lettura», 27 novembre 2016, pp. 28-29). La notizia è certo utile per capire l’opera di Michelangelo, ma scoraggia ogni interpretazione in chiave eterodossa, poiché l’opera di Polidoro risale ad oltre un decennio prima. Può darsi, inoltre, che le due statue raffiguranti la Vita attiva e la Vita contemplativa intendessero alludere ai roventi dibattiti sul ruolo della fede e delle opere per conseguire la salvezza, ma nulla lo documenta, e ancor meno dice qualcosa delle posizioni di Michelangelo in merito ad essi. Allo stesso modo, il fatto che la testa del Mosè sia stata girata verso sinistra a differenza del primo abbozzo può essere utile a capire l’arte del Buonarroti, ma sostenere che ciò avvenne per evitare che il patriarca biblico guardasse alla reliquia delle catene di san Pietro, oggetto di superstiziose credenze popolari combattute dai protestanti, richiederebbe qualche straccio di documento. Che invece non c’è. E senza filologia non si fa storia.
Al crocevia della storia. Poesia, religione e politica in Vittoria Colonna, a cura di Maria Serena Sapegno, Roma, Viella, pagg. 234, € 29; A Companion to Vittoria Colonna, ed. by Abigail Brundin, Tatiana Crivelli and Maria Teresa Sapegno, LeidenBoston, Brill, pagg. XXI-561, € 219