Il Sole 24 Ore

Acciuffa i pensieri con una penna!

Con Gesù Bambino parlavamo tutto l’anno, prima di dormire gli mandavamo un bacino. Non importa credere in Dio ma ognuno ha un piccolo dio dentro di sé al quale scrivere una lettera nella quale chiedere magari un libro che contiene storie e pensieri

- di Paola Mastrocola l’amore per i quaderni

Sapete perché ho chiamato Paginette i pensieri che metto giù per scritto ogni mese per questo giornale? Perché amo i quaderni. Perché fin da piccola ho sempre scritto i miei pensieri su quaderni, piccoli, a righe. E i quaderni hanno le pagine. I computer e i telefonini no, hanno le videate. Si può anche scrivere su una «videata», ma è un’altra cosa. In effetti le mie Paginette non le scrivo su un quaderno, ma su un computer. Quindi su una videata. Però, siccome le ho chiamate Paginette, mi ricordo dei miei quaderni e mi pare di scrivere come una volta.

Riempire pagine su pagine: era un modo di dire che significa scrivere tanto. Oggi si può dire «riempire videate su videate»? Forse. Ma c’è ancora qualcuno che ha voglia di scrivere tanto? Credo di sì. Ma oggi ci chiedono di scrivere poco, di essere brevi, sintetici…

Essere sintetici non è scrivere. È fare un riassunto, uno schema. Per carità, è importante, e anche difficile. Ma scrivere è un’altra cosa: è un fiume in piena, una corrente che non si ferma e ci travolge.

Provate. Quando non avete niente da fare. Quando magari non c’è la connession­e, il cellulare non prende, la mamma lavora, il fratellino dorme e gli amici chissà dove sono. Prendete un quaderno. Nuovo. Piccolo. E una penna, che scorra bene sulla carta. Provate ad acchiappar­e i pensieri: basta guardarvi dentro la mente, troverete decine di pensieri che se ne svolazzano come gabbiani. Cercate di prenderli, non lasciateli volare via. Avete un solo strumento per acciuffarl­i: la penna. È come un retino per farfalle: la penna acciuffa i pensieri-gabbiani per la coda, e li spiaccica sulla pagina. Così non se ne vanno mai più. E il bello è che li potete ritrovare, e leggere e rileggere, a voi stessi e anche a chi avete intorno, amici, genitori, cuginetti, zii…

Ah, una cosa: quando decidete di scrivere, non è che dovete già sapere esattament­e che cosa scriverete. Vi mettete in posizione (seduti, quaderno aperto, penna pronta) e aspettate. Guardate dentro la testa e scovate i pensieri, poi li acciuffate. Scoprirete di pensare un sacco di cose senza accorgeven­e. È come pescare in un sacco magico, che crede- vate vuoto e invece non la finisce più di contenere cose…

Ultima cosa: funziona benissimo anche con i temi a scuola!

storia di una banana, una mela

e ( forse) un topolino

Adesso vorrei raccontarv­i una storia vera, che mi è davvero successa qualche tempo fa. Una storia che riguarda le banane, le mele e un animaletto sconosciut­o.

Un mattino mi alzo, vado in cucina e vedo, nella cesta della frutta, una banana scavata. Sì, come se qualcuno avesse fatto un grosso buco nella buccia e poi scavato la polpa. Mah! Mi dico, sarà un nuovo modo di marcire, che le banane si sono inventate…

Il mattino dopo stessa storia: un’altra banana scavata, questa volta in due punti. Allora mi viene curiosità e faccio la prova: metto sempre una banana bella in centro nella cesta, e ogni volta mi ritrovo il buco, tutto mezzo marronicci­o marcio.

Un mangiatore di banane! Certo, dev’esserci qualcuno nella mia cucina che ama le banane. Ma chi? Io non vedo mai nessuno. Cerco dietro ai mobili, sposto tutto, frugo. Niente.

Ora, non è bellissimo abitare con qualcuno che non vedi mai e non sai nemmeno chi è. Ti viene un’ansia, una specie di inquietudi­ne. Vorresti sapere, scoprire, parlargli, a questo abitante sconosciut­o, venire a patti.

Decido di non comprare più banane. E il giorno dopo… trovo una mela rosicchiat­a! E così i giorni seguenti: ogni volta un bello scavo candido dentro una nuova mela.

Che fare? Vado dal ferramenta. Da chi altri dovevo andare? I ferramenta sanno tutto! Infatti, mi dice che di sicuro in casa mia abita un topolino. Un topolino? In effetti è possibile, io abito in campagna, davanti a me c’è un grande prato. E i topolini di campagna abitano in campagna…

Ma i topi non mangiano il formaggio? È tutta la vita che nei libri, nei film, nei cartoni animati ci raccontano che ai topi piace il formaggio. Vedi Topo Gigio, Tom e Jerry, e ultimament­e i topini Parmareggi­o. E invece adesso scopro, alla mia età, che i topi amano la frutta! Non si finisce mai di imparare…

Il ferramenta mi vuole vendere una trappola, oppure certi sacchettin­i odorosi che attirano i topi e che contengono un veleno. Ma io non

posso uccidere il mio topo! Ormai abita con me, è parte della casa, mi ci sono affezionat­a…

Così, mi viene un’idea: metto la banana fuori dalla porta, lasciando uno spiraglio aperto in modo che il topo, per mangiare il suo frutto preferito, esca di casa e magari se ne torni nel prato per i fatti suoi. Tanti saluti, e amici come prima.

Sono giorni che lascio una banana fuori, al freddo della notte. Ma nulla accade. La banana resta i ntatta, nessuno arriva a mangiarsel­a.

E io adesso non so se il mio topolino abita ancora con me o mi ha lasciata per sempre.

« E io non so chi va e chi resta » , dice un

bellissimo verso di un grandissim­o poeta che si chiama Montale…

lettera a gesù bambino

Siccome fra pochi giorni è Natale, consiglier­ei a tutti voi, se ancora non l’avete fatto, di scrivere la letterina a Babbo Natale. O a Gesù Bambino? Una volta, quando eravamo bambini noi, scrivevamo a Gesù Bambino. È lui che nasce la notte di Natale. Oggi si direbbe: è l ui l’evento. Natale vuol dire proprio questo: nascita! Natale è «il giorno natale» di Gesù.

Babbo Natale è lo spirito buono del Na- tale. Santa Claus, o San Nicola. Vive al Polo Nord, o in Finlandia o in Lapponia, e fabbrica giocattoli tutto l’anno insieme ai suoi aiutanti, poi va con le sue renne per il cielo e scende in ogni casa a distribuir­e i doni ai bambini. È una specie di imprendito­re, buono e generoso.

Gesù Bambino invece no, non ha nessuna fabbrica, è solo un bambino, povero e nudo che però… è il re del mondo! E nasce per portarci il dono del suo amore per il mondo: per questo ci porta i doni, perché è lui stesso un dono, e allora, per farcelo capire meglio, ci regala degli oggetti concreti che ci diano gioia e ci facciano una sorpresa: biciclette, guanti, puzzle, palloni, dvd…. Ma non sono importanti gli oggetti: la vera sorpresa è che lui nasca, lui, figlio di Dio, in una capanna di Betlemme riscaldata da un bue e da un asino. Anche se, quando al mattino ci svegliavam­o e vedevamo tutti quei pacchetti, erano importanti sì quegli oggetti: ci chiedevamo estasiati come aveva fatto, lui così piccino, appena nato, dove li aveva presi, in quale negozio che rimanesse aperto la notte… Avevamo il senso di un miracolo divino.

E poi, con Gesù Bambino noi parlavamo sempre, tutto l’anno, la sera per esempio, prima di addormenta­rci. Dicevamo le preghiere, oppure gli raccontava­mo la nostra giornata, quello che era andato bene e quello che era andato storto. Chiudevamo con un bacino, il segno della croce e buonanotte. E quando si avvicinava Natale, cercavamo di essere più buoni, perché arrivava lui e volevamo fare bella figura. Ci sforzavamo di fare qualcosa di bello per gli altri, di obbedire di più, di essere più gentili. Il Natale era un’occasione di bontà. E non importa se il pensiero di essere più buoni ci durava solo pochi giorni, era comunque un appuntamen­to con la nostra coscienza.

Che appuntamen­to abbiamo con Babbo Natale? Gli parliamo tutto l’anno? Lo preghiamo ogni sera quando viene buio? O gli scriviamo solo una letterina a Natale, giusto per chiedergli i regali?

Mi verrebbe da dire che non importa che siate cattolici o no, Gesù Bambino è comunque un dio che nasce: quindi, è ogni dio. E non abita in Svezia o al Polo Nord o in Finlandia, non ha un indirizzo preciso. Noi sulla busta scrivevamo Via del Paradiso, e come città scrivevamo Cielo.

Per questo, non importa nemmeno se credete in un dio o no: perché ognuno di noi ha un piccolo cielo dentro di sé, ed è a quel nostro cielo nascosto che è bello scrivere una lettera.

il miracolo di un libro

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come una favola | Illustrazi­one di Paola Mastrocola

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