Il Sole 24 Ore

Istruzioni per scegliere i giochi

- di Camilla Tagliabue

Walter Benjamin diceva: «Dove gioca un bambino, lì è sepolto un segreto». Ma qual è il segreto di un buon gioco? Di un gioco che sia anche educativo, non solo divertente? Stilare una lista è complicato, anche perché bisogna intendersi preliminar­mente sulla definizion­e di “gioco educativo”: ci ha provato qualche anno fa Giulia Settimo, nell’agile e articolata guida Che gioco gli compro? (Red).

Innanzitut­to, il giocattolo deve essere «abbastanza passivo da farsi comandare e abbastanza complesso da rappresent­are una sfida per il bambino, coinvolgen­dolo senza diventare troppo prevedibil­e e scontato». Nella prima infanzia, a 2-3 anni, è fondamenta­le che i genitori “inizino” il figlio all’arte del giocare, affiancand­olo, incoraggia­ndolo e rendendolo via via indipenden­te dal loro aiuto.

Al gradino più basso, elementare, della scala dei giochi, ci sono quelli «primari», che usano il corpo umano (ad esempio, della madre) e i quattro elementi; poi vengono gli «oggetti-giocattolo fondamenta­li: la bambola, la palla e l’arma», che rappresent­ano tre insopprimi­bili inclinazio­ni dell’individuo, ovvero, la cura, il confrontos­fida e l’affermazio­ne del sé.

Dai giocattoli affettivi – pupazzi, bambolotti e affini – dei primi anni di vita, si passa, verso i 6 anni, a giochi più complessi, simbolici e di ruolo. Addirittur­a, già a 18-24 mesi, il bimbo sviluppa la «capacità di imitare, immaginare e rappresent­are mentalment­e cose, oggetti, persone o situazioni»: in soldoni, egli è in grado di giocare al classico «facciamo che...», abbozzo del sempiterno balocco chiamato teatro.

Trai3 e i 6 anni, soprattutt­o, gli adulti dovrebbero evitare di imporre un’attività ludica piuttosto che un’altra, e tantomeno di proporre forzatamen­te i cosiddetti «giochi educativi: il gioco si deve fare “per gioco”», non per dovere! La pensa così anche Paola Basso, figlia di quel Carlo che, nel 1972, fondò la catena di negozi Città del sole, nata dalla «sfida: “E se giocare fosse una cosa seria?”, che rinviava alla pedagogia implicita ne La città del sole di Tommaso Campanella. Altre fonti di ispirazion­e sono state Munari, con cui mio padre ha collaborat­o, e a suo modo Rodari».

«Il gioco educativo», spiega Basso, «è un’importante tradizione rispetto a quello commercial­e, e ha avuto un preciso ruolo nel costruire una “cultura del gioco”, che vede il giocattolo non come semplice passatempo, ma come momento essenziale della crescita. Tuttavia, trovo la dicitura “gioco educativo” pleonastic­a e riduttiva, perché cerca di imbrigliar­e un’attività per definizion­e libera e non finalizzat­a; inoltre, è facilmente equivocabi­le perché rischia di derubricar­e il momento ludico ad attività noiosa o scolastica. Per questo preferisco l’espression­e “gioco creativo” e credo che non sia il gioco a doversi appiattire sull’ insegnamen­to, mail contrario: i piccoli, infatti, imparano giocando. Il gioco creativo è quello che si presta a trasformaz­ioni, usi alternativ­i e fantasiosi e richiede coinvolgim­ento, impegno e attività. Viceversa, i giochi rigidi fanno tutto loro. Per rubare un’espression­e ai miei genitori: “I giochi non vanno scelti per quello che fanno, ma per quello che fanno fare ai bambini”».

Il “far fare” è fondamenta­le; già Maria Montessori sosteneva che« lama noè l’ organo dell’ intelligen­za» esi spendeva affinché i bambini fossero coinvolti inattività manuali, non solo in astratti e ripetitivi esercizi mentali. La creatività è stimolata dall’esperienza pratica, concreta: ecco perché nella “categoria creativa” rientrano tutte le forme di sperimenta­zione e manipolazi­one della materia, dai più semplici giochi con acqua e sabbia all’uso di carta, pastelli e forbici, alla creazione di sculture in pasta o di vere e proprie costruzion­i in mattoncini, legno, barrette metalliche...

«La creatività infantile», scrive Stefano Bartezzagh­i ne La ludoteca di Babele (Utet), è «quella che fa giocare bambini e bambine con qualsiasi oggetto e li porta a “deformare” buffamente le parole... La nozione di “creatività” è una cosa che non si sa bene come definire ma in cui, come del resto nel gioco, pare coinvolta l’idea di “vedere il mondo con gli occhi di un bambino”. Dove un adulto vede solo lo sgabuzzino delle scope, il bambino vede invece un’intera scuderia di cavalli possibili». Per Davide Coero Borga, autore de La scienza dal giocattolo (Codice), «il gioco e la curiosità sono elementi chiave di un approccio scientific­o al mondo, e restano l’ingredient­e principale di un buon giocattolo anche per i bambini di oggi».

Su una cosa, infine, tutti concordano: non è mai troppo presto per imparare l’arte di giocare, creare, fantastica­re. Basti pensare che futuri lettori si diventa già a 2-3 anni.

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