Tutti gli amici di Cappuccetto Rosso
Che la favola e la fiaba fossero un tesoro da reinventare è stata la grande acquisizione di geniali autori moderni e contemporanei da Giambattista Basile a Charles Perrault, dai fratelli Grimm e Hans Christian Andersen a Lewis Carroll e Carlo Collodi, da Luigi Capuana a William B. Yeates e Gianni Rodari. Scrittori spesso letti, appresi a memoria, poi ritrasmessi per via orale a un pubblico misto: generazioni di grandi e piccoli, colti e incolti. Per gli studi etno-antropologici dell’Ottocento favola e fiaba furono il patrimonio da riscoprire e valorizzare entro una visione nuova di cultura e di popolo. Cultura orale dunque popolare per eccellenza, ma forse senza pensare troppo che “orale” non significa automaticamente cultura subalterna (cosa dire, altrimenti, degli insegnamenti di Socrate?) e che gli scambi fra alto e basso, basso e alto, sono il sale di ogni cultura, condivisa dai vari gruppi sociali presenti in una comunità.
Che fossero narrazioni per i piccoli e per questa stessa ragione un regresso/rinascita all’infanzia, attraverso cui tutti rituffarsi nell’incoscio personale e collettivo, è una conquista che dobbiamo alla psicanalisi di Carl G. Jung. Favole come ad esempio Cappuccetto rosso hanno mostrato la loro capacità di illuminazione del rischioso percorso di passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Il secondo Seminario Internazionale sulla Favola (Seravezza, Palazzo mediceo), organizzato dal Centro Studi CISESG in collaborazione con diverse università italiane e straniere ed enti di ricerca internazionali (CISLE Torino, Academia lusófona Luís de Camões-Lisbona) ha consentito di mettere meglio a fuoco il valore dinamico assunto dalla favola nelle più diverse culture e in specie nella letteratura europea dell’Ottocento e del Novecento. Dunque, non solo e non tanto la favola come narrazione breve, in grado di attingere all’universo simbolico, proprio degli archetipi o modelli astorici dell’inconscio collettivo di cui partecipa ogni essere umano, ma piuttosto come “avventura” e “storia”, racconto, “novella”, attraverso cui leggere la società del nostro tempo. Quindi, La fattoria degli animali ( Animal Farm, 1945) di George Orwell, come apologo-satira di una tipologia del potere politico nell’epoca precedente quella post-moderna e di internet; o Piero Gobetti che, nel richiamo alla favola/fiaba di Pinocchio, in Visita alla Fiat (1923), riafferma la dignità stessa dell’uomo e dell’uomo-lavoratore in specie; oppure, per dare ancora un esempio, Friedrich Dürernmatt che, con Il tunnel, disegna una parabola critica del destino dell’uomo moderno votato al nulla per la sua stessa scelta di ridursi all’impotenza.
«Fole», narrazioni di adulti per adulti e bambini, avrebbe scritto non a caso il grande Enrico Pea. Favole/fiabe, storie deformate e ricreate fantasticamente, sia come memoria di ciò che fu sia come avviso di ciò che potrebbe essere. La favola/ fiaba, perché i due generi spesso confluiscono l’uno nell’altro (il collodiano Pinocchio insegna), come pratica di educazione e formazione condivisa. Avviso del male onnipresente e del bene che si può incontrare, in modo altrettanto gratuito del male. Perché, se è vero che i bambini sono coloro che, per età, hanno più urgenza di conoscere i pericoli insidiosi della vita, anche gli adulti non hanno sperimentato tutta la gamma possibile del male, e ne devono comunque stare in guardia.