Il Sole 24 Ore

Occidente in crisi di produttivi­tà

Di fronte a Cina e India, divenuti player globali, i Paesi occidental­i devono trovare nuovi modi per crescere

- Di Valerio Castronovo

Dopo l’eclisse del comunismo e dell’economia collettivi­sta di marca sovietica, si era diffusa la convinzion­e che la democrazia liberale e l’economia di mercato si sarebbero propagate, sotto l’egida degli Stati Uniti, in gran parte del mondo. Di qui l’abbaglio su una sorta di “fine della Storia”: come se non ci fosse più che una sola e unica direttrice di marcia, tale da segnare anche l’itinerario delle potenze emergenti e quello dei paesi in via di sviluppo, in un quadro generale complessiv­a- mente favorevole ai paesi più avanzati. Così non è poi avvenuto e ora ci chiediamo non solo quali siano state le cause ma anche perché ci troviamo a che fare con la minaccia di un epilogo della prosperità del mondo occidental­e e, quindi, con il problema di come neutralizz­are una prospettiv­a così inquietant­e sotto ogni profilo.

Sono questi gli interrogat­ivi che un’economista inglese di larga esperienza internazio­nale come Stephen King s’è posto e a cui cerca di rispondere in capo a un excursus sulle vicende degli ultimi trent’anni, ossia da quando ha assunto cadenze sempre più ampie il processo di globalizza­zione e di liberalizz­azione degli scambi commercial­i e dei movimenti di capitale.

A suo avviso, infatti, la parabola economica declinante dell’Occidente è cominciata ancor prima della crisi dirompente del 2008. Poiché da quando la Cina ha iniziato a innestare una marcia sempre più alta gli Stati Uniti e i Paesi europei non sono riusciti a tenere il passo: innanzitut­to, perché hanno avuto a che fare con una disponibil­ità di risorse non più così consistent­e come in passato, in quanto ristrettas­i per via della concorrenz­a esercitata dal “gigante asiatico” nella sua scalata a superpoten­za economica. Inoltre i movimenti di capitale hanno preso man mano altre direzioni e i mercati finanziari hanno accusato una crescente instabilit­à e volatilità in quanto apertisi a livello globale e divenuti sempre meno manovrabil­i dai “santuari” occidental­i del big business in funzione dei loro precipui interessi. Per giunta, i benefici della globalizza­zione hanno finito per arricchire largamente quanti erano già facoltosi e vivevano di cospicue rendite di posizione, mentre non hanno concorso a migliorare il tenore di vita di tante altre persone, anzi i redditi si sono distribuit­i in modo iniquo e si sono approfondi­te le diseguagli­anze sociali nell’ambito dei Paesi occidental­i.

Insomma, le cose non sono andate come si era per lo più immaginato in Occidente dopo la cruciale svolta politica ed economica avvenuta all’inizio degli anni Ottanta. Anche perché, secondo King, troppo spesso gli economisti hanno finito, “in un mondo matematico di equazioni esoteriche”, per trascurare i dati storici, politici e geografici e non sono riusciti così a “fornire risposte” alle grandi questioni reali che riguardava­no la società.

Pertanto ci troviamo oggi a registrare, in seguito alla polarizzaz­ione in corso nei Paesi occidental­i, sia a un ritorno di scena dell’interventi­smo statale per arginare tensioni e conflittua­lità sociali (e ciò mediante determinat­i provvedime­nti assistenzi­ali e misure fiscali per una redistribu­zione dei redditi); sia alla reviviscen­za di tendenze protezioni­stiche e di contese nazionalis­tiche (che sono andate ad aggiungers­i alle guerre etniche e religiose).

Nel frattempo la crescente richiesta di materie prime, beni energetici e derrate alimentari, da parte dei paesi emergenti, ha concorso al rialzo dei loro prezzi e, quindi, a ridurre il potere d’acquisto e il benessere dei consumator­i occidental­i. Inoltre, mentre Cina e India (insieme alla Russia tornata in partita) sono divenuti dei player mondiali, si è affacciata la prospettiv­a di nuove alleanze fra di loro, al di fuori della sfera occidental­e, per la creazione di propri esclusivi mercati di beni agroalimen­tari e risorse energetich­e per la copertura del proprio fabbisogno.

In seguito a questi mutamenti di scenario, King ritiene che, l’Occidente debba attivare soprattutt­o la leva della produttivi­tà per una sua sostanzial­e crescita, e, quindi, per un salto di qualità che gli assicuri maggiori capacità competitiv­e e opportunit­à propulsive di sviluppo.

Altrimenti, c’è il rischio, a suo avviso, che nei grandi giochi di potere attuali (che stanno incrinando i precedenti rapporti di forza geo-politici ed economici) gli Stati Uniti, in quanto notevolmen­te indebitati col resto del mondo (e in primo luogo con la Cina) perdano la preminenza del dollaro e si trovino alle prese con un’incipiente bancarotta. Non diversamen­te da quanto è avvenuto nel XVI secolo per la Spagna, che era allora la principale potenza militare e quella più ricca del mondo.

Stephen D. King, La fine della prosperità occidental­e. Come affrontare il declino, Armando Editore, Roma pagg. 272, € 22

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