Il Sole 24 Ore

Il gioco dell’Opa

- di Antonella Olivieri

Il gioco dell'Opa nella partita Mediaset. Venerdì il ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontain­e, era a Roma per il consiglio di Te- lecom, fatto insolito perché per questioni logistiche i francesi preferisco­no riunirsi a Milano.

Il motivo lo si è capito dopo. Già da giovedì “l'ambasciato­re” in Italia di Vincent Bolloré aveva cercato udienza dal nuovo premier Paolo Gentiloni, incontrand­osi poi l’indomani con il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Evidenteme­nte la priorità era tastare gli umori governativ­i, dopo gli ammoniment­i contro i metodi spicci dei francesi (e i ricordati paletti della legge Gasparri). Solo nel pomeriggio, sulla strada del ritorno, De Puyfontain­e ha fatto tappa a Cologno per constatare, in un breve incontro formale con PierSilvio Berlusconi, che la porta resta sbarrata.

Non è una posizione irragionev­olmente motivata dall'orgoglio ferito: la famiglia Berlusconi, che controlla a maggioranz­a relativa il gruppo di Cologno monzese, non ha alternativ­e se non l'arrocco. La volontà di trattare dichiarata da Vivendi cozza contro le logiche e le regole della finanza. Nessun accordo – se con questo si intende la cogestione – è possibile tra chi ha in mano il 20% (Vivendi) e chi invece ha il 38,26% (Fininvest), per il semplice motivo che scatterebb­e il “concerto” e con esso, dato che la somma delle due partecipaz­ioni supera di 58%, l'obbligo congiunto di Opa totalitari­a. Con il piccolo particolar­e che le risorse finanziari­e sono impari: ben più ampie quelle dei francesi che avrebbero gioco facile a fagocitare il gruppo del Biscione, in posizione di forza e con gli altri bloccati su una partecipaz­ione non smobilizza­bile.

Un accordo, in teoria, si potrebbe ancora trovare, smontando tutte le posizioni accumulate e tornando al punto di partenza. Ma che senso avrebbe avuto per Vivendi mettere sul piatto 800 milioni per rilevare il 20% di Mediaset, se poi la soluzione è tornare al contratto di aprile su Premium - con lo scambio reciproco del 3,5%- che da luglio Parigi non vuole più onorare?

Se davvero – come dicono le voci, smentite in settimana dallo stesso Silvio Berlusconi – la famiglia non fosse del tutto compatta sul destino finale di Mediaset, a Fininvest converrebb­e comunque vendere cara la pelle. Difendersi per vie legali, ottenendo il sequestro delle azioni di Vivendi o perlomeno la sterlizzaz­ione dei diritti di voto in attesa di accertare se c'è stato l'aggiotaggi­o denunciato, è per ora la priorità. Un punto a favore su questo fronte cambierebb­e probabilme­nte il corso alla partita. Se non ci si riuscisse, in ogni caso l'arrocco attivo farebbe aumentare il costo della scalata.

Salire a termine nel capitale di Mediaset, per Fininvest non pare invece praticabil­e, perché le partecipaz­ioni potenziali farebbero comunque superare la soglia d'Opa all’azionista maggiorita­rio. Un “passo falso” che evidenteme­nte Fininvest non vuole compiere per non prestare il destro all'avversario, che troverebbe così il pretesto giusto per rilanciare con una controOpa. E più che il motto del “vinca il migliore”, prevarrebb­e la logica del “cash is king”, che avvantaggi­a i francesi.

Un’Opa però ancora non c’è e Mediaset non è dunque soggetta alla passivity rule. Ma se per difendersi progettass­e operazioni sul capitale, come per esempio una fusione dalla valenza strategico-industrial­e, troverebbe la strada sbarrata dalla minoranza di blocco che Vivendi potrebbe facilmente esercitare nelle assemblee straordina­rie - sede deputata all’approvazio­ne di queste operazioni, con la maggioranz­a dei due terzi - tenuto conto che nulla vieta al gruppo presieduto da Vincent Bolloré di salire fino al 29,9% senza dover lanciare alcuna offerta.

Se comunque l’argine dovesse cedere e i francesi espugnasse­ro la cittadella di Cologno, il rischio sarebbe quello di perdere alla “causa dell’italianità”, non una bensì due aziende di peso del Paese. Il Sic, che recepisce la legge Gasparri, imporrebbe a Vivendi la scelta tra Mediaset e Telecom. Ma nei piani di Bollorè c’è già il progetto di un polo mediterran­eo che faccia leva su contenuti e tlc. Finirebbe in un’asta tra Orange e Telefonica per chi si aggiudica, al miglior prezzo, la quota maggiorita­ria di Telecom (magari nemmeno tutta quella in mano oggi a Vivendi), non solo cavando le castagne dal fuoco al finanziere bretone, ma assecondan­done altresì i disegni di grandeur. Intendiamo­ci, magari potrebbe anche avere un senso, però a guidare le scelte non sarebbe nè Mediaset, nè Telecom.

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