Il Sole 24 Ore

Una platea orfana di strategie anti-crisi

- Di Mauro Meazza

Uno spiraglio c’è stato, e di quelli incoraggia­nti: nel suo primo discorso alla Camera da presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni ha voluto citare le partite Iva, accomunand­ole ai lavoratori dipendenti come «parte più disagiata della nostra classe media» e dichiarand­o di voler porre queste categorie «al centro dei nostri sforzi per far ripartire la nostra economia».

Uno spiraglio importante, che ora toccherà all’azione di Governo e Parlamento riempire di contenuti. Perché, se concentria­mo lo sguardo sul popolo eterogeneo delle partite Iva e del lavoro autonomo “minore”, ci accorgiamo che gli aspetti sui quali intervenir­e sono parecchi, dal fisco, alla previdenza, ai diritti, alle tutele. E che è meglio decidere in fretta (situazione politica permettend­o).

A dare evidenza alla situazione potrebbe bastare un numero: 400mila. Ovvero, i 400mila «lavoratori indipenden­ti» perduti con la crisi tra il 2008 e il settembre 2016, così come certificat­i dall’ultimo censimento Istat sul mercato del lavoro e segnalati sul Sole 24 Ore il 7 dicembre. All’ultima rilevazion­e, quindi, l’Istituto stima una presenza di 5 milioni e 386mila «autonomi», che rappresent­ano sempre un valore di tutto rispetto, anche a livello europeo, ma che segnano - avverte sempre l’Istat - un calo del 7,1%, soprattutt­o tra gli uomini e nella fascia di età compresa tra i 25 e i 44 anni.

Sarebbe molto semplice liquidare questo calo con la constatazi­one banale che, di sicuro, tra questi 400mila alcuni erano “di troppo” e che l’attività autonoma comprende fatalmente un rischio di insuccesso che si deve tenere in conto.

Obiezioni fondate, certamente. Ma, lo ripetiamo, banali. Perché quella diminuzion­e va messa in relazione con diversi fattori dominanti, proprio nello stesso periodo 2008-2016: la perdita di posti di lavoro dipendente, le difficoltà nel far ripartire le assunzioni stabili, gli sforzi italiani e della stessa Unione europea per l’autoimpieg­o e l’autoimpren­ditorialit­à.

Tutti elementi che vorrebbero o dovrebbero portarci verso un incremento del «darsi il lavoro da sé», e non verso una sua diminuzion­e.

Come sempre, per capire un numero possono essere utili altri numeri: quelli che compaiono in queste pagine cercano di comporre un quadro il più possibile aggiornato e puntuale del lavoro indipenden­te, a cominciare dalla sua diffusione presso i giovani. Un’impresa improba, perché la categoria va dalle profession­i storiche con Albo, a mestieri altrettant­o storici ma privi di Albo, dagli artigiani agli informatic­i, per arrivare a specialità recentissi­me come il webmaster o il social media editor. Tutti accomunati, però, da condizioni fiscali, giuslavori­stiche e reddituali che si possono serenament­e definire deludenti.

Sono deludenti gli sconti offerti dal fisco, se si paragonano le detrazioni riconosciu­te ai primi 10mila euro dei dipendenti a quelle accordate a chi lavora con partita Iva. Sono deludenti le prospettiv­e previdenzi­ali, affidate al metodo contributi­vo e quindi fatalmente meno generose con redditi troppo bassi. E sono deludenti, ça va sans dire, i redditi, come ogni anno segnalano ad esempio i divari tra giovani e meno giovani nelle contribuzi­oni versate alle Casse profession­ali. Restano poi ancora deludenti i meccanismi di incentivaz­ione e sostegno, e non decollano le società tra profession­isti. Tutte delusioni che si vedono, eccome: basti pensare alla protesta dei commercial­isti che hanno deciso uno sciopero contro la nuova serie di adempiment­i fiscali.

Una possibile constatazi­one finale,tuttavia, non può limitarsi a questa mappa delle difficoltà. È probabilme­nte più proficuo domandarsi per quali motivi, pur in un arco di tempo non breve, ovvero i nove anni da che perdura questa crisi, i tentativi di intervento non abbiano mai (ancora?) trovato un qualche slancio coordinato. E abbiano invece lasciato spazio a plurime revisioni dei regimi fiscali forfettari, a più programmi avviati e poco perseguiti, ad altalene delle aliquote contributi­ve. Molte speranze sono state riposte nello Statuto del lavoro autonomo, il cui destino, come quello di molti altri provvedime­nti, è ora appeso all’evolversi del contesto politico. Potrebbe essere - se le Camere lo confermera­nno - un punto di svolta, o l’ennesimo maquillage di poca efficacia.

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