Consumi di pasta in crescita nel mondo
Dall’Iran alla Turchia i produttori possono conquistare mercati oggi residuali
Dall’Iran alla Turchia, i Paesi dove, a sorpresa, il consumo di pasta sta crescendo nel mondo.
pIran, Turchia, Egitto e Brasile. Segnatevi questi nomi: secondo Euromonitor, sono i mercati dove il consumo di pasta crescerà di più nei prossimi cinque anni. L’Europa è praticamente satura, scrive Jack Skelly, analista della società di consulenza inglese, e dal 2011 a oggi il consumo mondiale di pasta è cresciuto solo dell’1% all’anno. Al contrario, i tassi di crescita di questi quattro Paesi sono del 4-5% all’anno e secondo Euromonitor rimarranno invariati anche per il prossimo quinquennio.
Entro la fine del 2016 Iran, Turchia ed Egitto insieme, la cui popolazione complessiva conta più di 250 milioni di persone, avranno consumato 1,6 milioni di tonnellate di pasta. Più o meno, quanto l’Italia - che è primo produttore e primo esportatore al mondo - ne vende ogni anno all’estero (1,8 milioni di tonnellate nel 2015).
Ma come si stanno muovendo, gli esportatori italiani, in questi mercati giudicati tra i più promettenti? Stando alle statistiche dell’Aidepi, l’associazione delle industrie della pasta italiana, per il made in Italy oggi questi sono mercati residuali. Dei 2,3 miliardi di euro di export incassati l’anno scorso dai nostri pastifici, l’Europa rappresenta oltre il 72%: Francia, Germania e Regno Unito da soli pesano addirittura per il 44% dei volumi e per il 45% degli introiti. Verso le Americhe si dirigono circa 200mila tonnellate di pasta made i n Italy, ma solo 50mila di queste non prendono la via degli Stati Uniti, quarto mercato di sbocco del nostro export di settore e per giunta in calo dell’1,3 per cento. Verso l’Asia, invece, viaggiano ogni anno 214mila tonnellate di pasta italiana, di cui 66mila dirette in Giappone.
«La verità è che questi sono tra i quattro Paesi più complicati che ci siano - spiega Giuseppe Di Martino, dell’omonimo pastificio, che controlla anche il Pastificio Amato e che esporta prevalentemente nei mercati maturi -. La Turchia, per esempio, più che un mercato di destinazione, per noi è il principale concorrente sul palcoscenico internazionale: ha impianti moderni di produzione e ha investito molto nel settore, tanto che ci sottrae molto business soprat- tutto in Cina, in Africa e nei Paesi arabi». Costa meno, la pasta made in Istanbul, «anche perché usufruisce di finanziamenti sotto forma di restituzione all’export», ricorda Stefano Berruto, dell’omonimo pastificio piemontese.
L’Egitto è un altro mercato difficile per la pasta italiana: «Ha recentemente alzato una serie di barriere protezionistiche a difesa della nascente produzione locale - ricorda sempre Berruto -. E come mercato di sbocco sta subendo una battuta d’arresto per colpa della crisi socio-politica».
L’Iran, forse, dei quattro Paesi è il più promettente: «Bisognerà vedere con che tempi il suo mercato si aprirà - sostiene Di Marti- no -, ma è indubbio che abbia un ottimo bacino di potenziali consumatori, per giunta già abituati alla pasta, poiché il Paese stesso ha un’industria locale piuttosto sviluppata».
Quanto al Brasile, fra crisi economica e alte barriere tariffarie all’ingresso le esportazioni italiane del 2015 sono calate di oltre il 18% in volume.
Non è, dunque, su questo gruppo di Paesi che nel breve la pasta made in Italy sembra decisa a giocarsi le proprie carte migliori per la futura crescita dell’export. «In Asia puntiamo su India, Vietnam e Thailandia - spiega Berruto -, inoltre vediamo arrivare segnali di ripresa dal mercato russo». Un mercato che tra il 2013 e il 2015 (fonte Sace) ha visto tracollare le importazioni di pasta italiana di oltre il 50 per cento.
Di Martino, al contrario, preferisce far rotta sui Paesi dell’Europa orientale e naturalmente sulla Cina, dove l’Italia è ancora troppo poco rappresentata: secondo l’Aidepi, nel 2015 i nostri produttori hanno venduto a Pechino meno di 19mila tonnellate di pasta e, se anche il consumo cinese di spaghetti italiani - ricorda Sace - negli ultimi otto anni è cresciuto del 495%, stiamo pur sempre parlando di un introito per l’Italia di 18 milioni di euro contro, per esempio, i 260 milioni provenienti dal mercato americano, che ha solo un quarto della popolazione della Cina. «La fondamentale differenza per noi esportatori di pasta - conclude Di Martino - è che, mentre la Cina si sta aprendo, Egitto e Turchia si stanno chiudendo, mentre l’Iran almeno nel breve periodo resta una realtà piuttosto chiusa. Quindi il fatto di essere Paesi più vicini della Cina, più accessibili logisticamente e con un sistema della distribuzione più semplice da approcciare non riesce ancora a fare la differenza».