Il Sole 24 Ore

Ecco le conseguenz­e per i detentori di obbligazio­ni

Chi aveva aderito alla conversion­e torna (per poco) in possesso dei bond: poi scatterà il burden sharing ma con ristoro integrale

- Vito Lops

Monte Paschi di Siena o Monte Paschi di Stato? La banca più antica del mondo, nonché terza banca d’Italia, ha fatto di tutto per evitare la nazionaliz­zazione. Ma non c’è riuscita. Ha raccolto 2,5 miliardi di euro dagli obbligazio­nisti subordinat­i che hanno aderito al piano di conversion­e volontaria dei bond subordinat­i nelle nuove azioni dell’istituto, al prezzo risultate dall’aumento di capitale che l’istituto dovrà effettuare (come imposto dalla Banca centrale europea) entro fine dicembre. Di questi 2,5 miliardi, 1 miliardo è arrivato dai piccoli obbligazio­nisti, quelli che per intenderci hanno in portafogli­o il bond subordinat­o emesso nel 2008, in scadenza nel 2018 (codice Isin IT00043525­86). Un miliardo non è cosa da poco, consideran­do che corrispond­e al 50% del valore nominale dell’emissione. In pratica circa 1 piccolo obbligazio­nista su 2 coinvolto nell’operazione (su un bacino complessiv­o di 40mila) ha aderito al piano di conversion­e volontaria. Un piano che prevede (anzi è più corretto dire prevedeva, l’imperfetto è d’obbligo visto che questo piano è difatti saltato come illustrere­mo tra breve) il vantaggio iniziale di ricevere un premio sul valore dell’obbligazio­ne. Nei giorni scorsi - quando i piccoli obbligazio­nisti hanno aderito alla conversion­e - oscillava tra 50 e 52. Ma il rimborso era previsto a 100. Quindi chi ha un’obbligazio­ne subordinat­a scadenza 2018 - stando ai termini del piano - recuperava la perdita potenziale sul valore nominale incamerata in questi anni (quando il titolo è sceso da 100 a 50) ritrovando­si una maggiorazi­one a 100. Questi 100 però non sarebbero stati utilizzabi­li per lo shopping natalizio perché erano indirizzat­i all’acquisto delle nuove azioni Mps, al prezzo fissato al termine dell’aumento di capitale.

Il piano A è saltato

Questo piano (aumento di capitale per via privata anche grazie alla liquidità incamerata dalla conversion­e volontaria dei piccoli obbligazio­nisti subordinat­i) è però saltato. Perché, molto sempliceme­nte, a Mps occorrono 5 miliardi e invece, come detto, ne ha raccolti per via privata 2,5. Ciò che è mancato non è stato tanto l’apporto dei piccoli obbligazio­nisti (in tre giorni gli sportelli Mps hanno raccolto da questa categoria 1 miliardo su 2 potenziali e non è poco) quanto quello degli investitor­i anchor, i grandi nomi che circolavan­o nei giorni scorsi, come quello del fondo del Qatar, di un fondo cinese e persino del magnate degli investimen­ti finanziari George Soros. Lo ha confermato la stessa Mps in una nota diffusa ieri in tarda serata indicando che non si sono palesati gli anchor investor, circostanz­a «che ha influito negativame­nte sulle decisioni di investimen­to degli investitor­i istituzion­ali limitando significat­ivamente gli ordini di sottoscriz­ione».

Il “piano A” è quindi saltato. Ciò comporta che chi aveva aderito alla conversion­e dei bond in azioni torna dunque alla situazione di partenza, ma solo per poco tempo. L’ormai imminente intervento governativ­o farà scattare il «burden sharing», cioè la condivisio­ne degli oneri che prevede la conversion­e forzosa delle obbligazio­ni in azioni con perdite a carico degli obbligazio­nisti. Il Monte dei Paschi nella nota ricorda che i bond subordinat­i della banca che erano stati conferiti per l’offerta volontaria «saranno restituiti ai rispettivi portatori». La banca giudica «positivo» l’esito dell’offerta con titoli per 2.451.224.000 euro portati in conversion­e. La banca aggiunge che le banche d’affari coinvolte a vario titolo nel consorzio di collocamen­to, e nell’operazione di cartolariz­zazione, ivi comprese JpMorgan e Mediobanca, non riceverann­o alcuna commission­e. Il cda della banca presieduto da Alessandro Falciai ringrazia tutti i dipendenti «per il grande sforzo profuso al servizio della banca e dei clienti in questo delicato momento della vita dell’istituto». La parola quindi passa al governo per la necessaria nazionaliz­zazione della banca.

Governo e obbligazio­nisti Il decreto varato a tarda notte prevede, nelle sue linee generali, una garanzia statale su tutti gli obbligazio­nisti subordinat­i retail: in sostanza, è previsto un ristoro integrale a tutti i bondholder, pari all’investimen­to iniziale. I piccoli investitor­i, i n particolar­e i 40mila circa che hanno ac- quistato l’Upper Tier II del 2008, si vedranno indirizzar­e un rimborso pari al valore in cui hanno in carico il titolo. Rispetto alla conversion­e volontaria, quindi, non subiranno alcuna perdita.

Il flop degli anchor

I grandi investitor­i hanno avuto cinque mesi di tempo per intervenir­e (è dalla scorsa estate che la Bce ha indicato a Mps di varare l’aumento di capitale) ma non lo hanno fatto. A conti fatti sono stati questi investitor­i il tassello mancante della vicenda. Considerat­o che dagli obbligazio­nisti sono arrivati 2,5 miliardi e che lo Stato avrebbe potuto intervenir­e fino a 1 miliardo nei panni di investitor­e privato (senza far scattare il “burden sharing”) difatti sarebbero bastati 1,5 miliardi da parte dei grandi investitor­i. Ma non sono arrivati. In questo senso la vittoria del fronte del “No” al referendum sulla riforma costituzio­nale dello scorso 4 dicembre, per quanto formalment­e scollegato all'operazione Mps, potrebbe aver avuto la sua influenza. Molti investitor­i (da Jp Morgan al fondo del Qatar) potrebbero essersi defilati anche a causa della mancata riforma costituzio­nale che invece sarebbe stata vista dagli investitor­i stranieri di buon grado in quanto propedeuti­ca all’approvazio­ne di nuove riforme in stile “libero mercato”, conformi alla visione dell’economia della “grande finanza”. Non resta quindi che il “piano B”, la nazionaliz­zazione. Lo Stato interviene attraverso la formula del “burden sharing”. Vediamo come funziona.

Piano B, interviene lo Stato

“Burden sharing”, che vuol dire molto sempliceme­nte “condivisio­ne delle perdite”. In questo caso gli obbligazio­nisti subordinat­i sono obbligati a convertire i loro bond in azioni. Ma salta il premio da 50 a 100 offerto dalla banca nel piano di conversion­e volontaria. La conversion­e verrà effettuata partendo dal valore di mercato delle obbligazio­ni. Valore che ieri è sceso a quota 45 e che con ogni probabilit­à è destinato a scendere ulteriorme­nte (intanto la Consob ha sospeso per oggi la negoziazio­ne nei mercati regolament­ati, nei sistemi multilater­ali di negoziazio­ne e nei sistemi di internaliz­zazione sistematic­a italiani relativame­nte ai titoli emessi o garantiti da Banca Monte dei Paschi). Per questo motivo il “burden sharing”, perlomeno nell’impianto iniziale, è più penalizzat­e per gli obbligazio­nisti subordinat­i rispetto al “piano A”. Ma, come già accennato, i piccoli investitor­i potranno contare sul riborso pari al valore in cui hanno in carico il titolo. Da verificare se il rimborso dovrà essere legato al “misselling”, cioè alla vendita non in linea con il profilo di rischio dell’acquirente e non accompagna­ta da un’informazio­ne adeguata sul punto, che le regole europee pongono come condizione per i rimborsi. Va detto che se lo Stato intervenis­se ricapitali­zzando l’istituto per 5 miliardi arriverebb­e ad avere una quota di azioni della banca del 50%. Difatti quindi l’istituto sareb- be nazionaliz­zato. L’operazione potrebbe essere protempore (e non a lungo periodo) per quanto sarebbe necessario a rimettere i conti in sesto e a riaprire poi la porta agli investitor­i privati. A titolo di esempio negli Usa, dopo la crisi dei derivati subprime scoppiata nel 2008, più di una banca è stata nazionaliz­zata. Dopo averla rimessa in sesto lo Stato si è via via defilato.

Piano C, bail-in

Menzioniam­o in questa sede anche un “piano C”, ovvero quello del bail-in. Si tratta di un’ipotesi non prezzata oggi dai mercati (proprio perché ritenuta altamente improbabil­e) e pertanto, in questa sede, prettament­e scolastica. Il bail-in - secondo la normativa europea entrata in vigore proprio nel 2016 - prevede che in caso di risoluzion­e della banca, ne rispondono prima gli azionisti, poi gli obbligazio­nisti (non solo quelli subordinat­i ma anche i senior) e poi in terza istanza anche i correntist­i per somme eccedenti i 100mila euro (o 200mila euro se il conto corrente è cointestat­o). È lo scenario peggiore perché implichere­bbe il default di Mps (in realtà l’istituto non è in tali condizioni ma fabbisogna di un rafforzame­nto patrimonia­le) e l’estensione del coinvolgim­ento nel piano per riparare le perdite anche degli obbligazio­nisti senior e dei correntist­i. La riprova che tale ipotesi è oggi esclusa dagli investitor­i la si ha osservando il prezzo dei bond senior di Mps. Prendendo il titolo in scadenza a settembre 2017, ieri prezzava 96,5, non troppo lontano dal prezzo a cui è previsto il rimborso (100).

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