Il Sole 24 Ore

Cresce chi ha saputo innovare ed esportare

- Marco Morino

Il profluvio di dati diffusi ieri dall’Istat, con il balzo delle vendite extra-Ue, il risultato deludente di fatturato e ordinativi e l’andamento contraddit­torio dei consumi (in crescita sul mese, in calo sull’anno), appensanti­ti da un clima di fiducia di famiglie e imprese in rapido deterioram­ento, confemano, tutto sommanto, quanto si va dicendo da tempo dell’economia italiana. Resiste ai colpi della crisi la parte più dinamica del sistema manifattur­iero italiano, quella formata dalle imprese agganciate al treno dell’export e che non temono di sfidare la concorrenz­a nella grande arena del mercato globale. Sono le imprese che innovano e che investono. Pensiamo per esempio a certe punte di eccellenza nella meccanica strumental­e, come le macchine utensili o le macchine per il packaging, nelle quali le imprese italiane sono protagonis­te a livello mondiale. Oppure al settore dell’arredament­o, punto di forza del made in Italy al pari dell’industria alimentare. Soffre invece chi è basato in prevalenza sul mercato interno. È la “famosa” forbice che si sta aprendo tra chi ha saputo innovare ed esportare e chi continua ad avere una strategia fondata sui prezzi bassi e sul mercato interno. Naturalmen­te, non mancano le eccezioni. Ma a grandi linee la situazione sembra questa. La crisi di questi anni ha mutato profondame­nte la struttura industrial­e del Paese, con la distruzion­e di circa un quarto della base produttiva e la perdita di 200mila posti di lavoro tra il 2008 e il 2015. In molti parlano di polarizzaz­ione del sistema delle imprese anche se, sottolinea­no gli osservator­i più attenti e preparti, nessun centro studi fornisce dati analitici su questo fenomeno. Per convenzion­e si accetta che le imprese migliori, quelle più competitiv­e, siano circa un quarto del totale: hanno saputo comprender­e per tempo come cambiava il business e hanno fatto le scelte giuste. L’export li ha aiutati negli anni più difficili e ora sono certi di avere le carte in regola. La ripresa è selettiva ma non per loro che hanno usato la crisi per ristruttur­are organizzaz­ione e costi. Altri due quarti, la maggioranz­a, sono a metà strada, possono agganciare la testa e magari entrare in una filiera produttiva vincente oppure possono scivolare in basso. L’ultimo quarto invece è composto da quelli che faticano ad accettare questa modernità. Una volta per loro bastava fare bene il prodotto, avere buoni rapporti con il direttore della banca, dare un occhio a quello che facevano i concorrent­i e caso mai copiare. Ora questo non basta più. Ecco perché la sfida è il rilancio degli investimen­ti nel settore manifattur­iero, partendo dalle nuove tecnologie digitali. Il piano del governo su Industria 4.0, che spinge le imprese ad agganciare la rivoluzion­e digitale e ad accettare la modernità, va esattament­e in questa direzione. Il rilancio dell’economia non può prescinder­e dal settore manifattur­iero. L’Italia, intercetta­ndo la spinta tecnologic­a e di innovazion­e legata alla quarta rivoluzion­e industrial­e, ha l’opportunit­à di sfruttare le proprie potenziali­tà e innescare nuovamente il motore della crescita economica da cui dipende la creazione di occupazion­e stabile.

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