Così la legge Fornero ha liberalizzato i voucher
Introdotti dal decreto Biagi del 2003, il n. 276, per riportare nella legalità quelle prestazioni di lavoro “occasionali e saltuarie” (fino ad allora svolte “in nero”), i voucher sono tornati in questi giorni sotto i riflettori: la Cgil ne ha chiesto la soppressione, con un quesito referendario, su cui la Consulta si pronuncerà sull’ammissibilità il prossimo 11 gennaio; e anche da una parte del Pd si è alzato il tiro, con Roberto Speranza, che ha incalzato il ministro Giuliano Poletti, per cancellarli (pena la sfiducia). E nei giorni scorsi a criticare il titolare del dicastero del Lavoro è stato pure l’ex segretario dem, Pier Luigi Bersani, che si è dichiarato stupito di come il partito democratico stia accettando i voucher, chiedendo, espressamente, al neo-premier, Gentiloni, di «rimetter mano» all’istituto, in crescita nei primi 10 mesi dell’anno del 32% sull’anno precedente.
Se andiamo, però, a vedere la storia normativa dei “buoni lavoro” sembrerebbe che alcuni esponenti della minoranza dem abbiano, oggi, cambiato opinione.
Dopo che il decreto Biagi aveva limitato i voucher a una platea ristretta di soggetti (casalinghe, studenti, pensionati, disabili e disoccupati di lunga durata) e individuato determinati comparti di attività, nell’agosto del 2008, con il governo Prodi, è partita la loro sperimentazione per le vendemmie di breve durata. Nel 2005, governo Berlusconi, c’è stato un piccolo ampliamento dei voucher (imprese familiari operanti nel settore dei servizi), ma la vera liberalizzazione è arrivata con la legge Fornero del 2012, la n. 92, sotto l’esecutivo Monti, appoggiato, tra gli altri proprio dal Pd, che ha ampliato il raggio d’azione dei “buoni lavoro” estendendoli, di fatto, a tutti i settori produttivi.
Successivamente, è arrivata la legge 99 del 2013, governo Letta, e ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che ha eliminato il riferimento alla natura meramente occasionale delle prestazioni di lavoro accessorio. Il Jobs act del governo Renzi ha sistematizzato l’istituto, alzando da 5mila a 7mila il limite massimo di compenso annuo a lavoratore (confermando, comunque, il tetto di 2mila euro per ciascun committente) e ne ha sancito il divieto nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere e servizi. Il successivo decreto correttivo al Jobs act, voluto proprio dal ministro Poletti, ha introdotto, da ottobre 2016, la piena tracciabilità dei voucher, prevedendo multe salate da 400 a 2.400 euro per ogni violazione.
Peraltro, prima di varare questa stretta, a marzo 2016, il ministero del Lavoro, assieme all’Inps, ha reso noti alcuni dati sull’utilizzo dei voucher: ebbene, da questi numeri è emerso come la possibile sostituzione di precedenti rapporti d’impiego con i buoni lavoro è un fenomeno che riguarda il 10% dei lavoratori occupati nei sei mesi precedenti con lo stesso datore. Gli utilizzatori di voucher ricevono in media meno di 700 euro l’anno; lo strumento è più frequente nelle regioni del Centro-Nord, e i settori produttivi con maggiore utilizzo dei buoni sono: commercio, turismo, servizi. Nell’industria siamo di fronte a numeri del tutto marginali.
L’UTILIZZO La sostituzione di precedenti rapporti d’impiego con i buoni lavoro riguarda il 10% dei lavoratori occupati nei sei mesi precedenti con lo stesso datore