Bruxelles ora guardi a sviluppo e migranti
L’EUROPARLAMENTO DOPO MARTIN SCHULZ
Dopo la decisione, annunciata il 24 novembre scorso, di presentarsi alle prossime elezioni politiche tedesche per la Spd, Martin Schulz lascerà la presidenza del Parlamento europeo prima della scadenza del suo mandato. Ciò non era mai avvenuto finora negli annali della Comunità europea; perciò si renderà presto vacante una delle massime cariche della Ue e dovrebbe toccare, per la prima volta, a un esponente politico italiano il compito di ricoprirla, dopo che vari rappresentanti di altri Paesi (per lo più francesi e tedeschi) si sono alternati alla guida dell’Assemblea di Strasburgo.
È vero che in passato Emilio Colombo aveva rivestito quest’incarico, ma prima che il Parlamento europeo venisse eletto a suffragio universale diretto nel giugno 1979: anche se questa sua nuova configurazione non ebbe a comportare il riconoscimento di concrete prerogative del Parlamento sul terreno legislativo. Poiché rimase pur sempre al Consiglio dei ministri, in quanto rappresentativo dei singoli Stati nazionali, ogni potere deliberante in merito alla governance della Comunità europea. Di conseguenza mozioni, proposte o riserve espresse dagli eurodeputati, non solo su temi di politica estera e della sicurezza, ma anche sulla composizione del budget comunitario, seguitarono ad avere in pratica ben pochi riscontri effettivi. Di fatto ci volle l’iniziativa di Altiero Spinelli, col “Club del Coccodrillo”, per giungere nel febbraio 1986 all’Atto unico europeo che, pur non recependo la proposta avanzata dall’Assemblea di Strasburgo di passare entro il 1989 a una fase costituente per il varo di un’unione politica, attribuì tuttavia al Parlamento capacità di codecisione in alcune materie, ma non in termini tali da risultare prescrittivi.
Da allora l’Europarlamento ha acquisito strada facendo più voce e udienza soprattutto fra l’opinione pubblica, ma il Consiglio europeo ha continuato ad avere la prima e l’ultima parola; e lo stesso è avvenuto, tranne in alcuni tornanti politico-economici, anche nei riguardi della Commissione di Bruxelles.
A Schulz, eletto nel gennaio 2012 e riconfermato nel luglio 2014, che pensava di poter far valere di più (anche perché in grado di contare sulla sponda tedesca l’appoggio del Spd) gli orientamenti del Parlamento, dovrebbe succedere Antonio Tajani o Gianni Pittella. Al di là delle loro diverse matrici politiche, l’uno (tra i fondatori di Forza Italia, eurodeputato di lungo corso dal 1994 e commissario europeo prima ai Trasporti e poi all’Industria del 2009 al 2014) in quota del Ppe e l’altro (parlamentare europeo del Pd dal 1999 e poi dal luglio 2013 nonché capogruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici all’Europarlamento) in quota del centro-sinistra, entrambi sono fautori di una politica della Ue volta al rilancio dell’economia e dell’occupazione. E ciò dovrebbe costituire quindi il loro cavallo di battaglia nel Parlamento di Strasburgo. D’altronde quest’obiettivo, rispetto a una rigida e prolungata politica di austerity, appare oggi condivisibile anche da una parte della classe dirigente tedesca: se l’Europa non vuole rimanere schiacciata fra l’America di Trump e il “gigante rosso” cinese.
Risulta altrettanto indispensabile che il Parlamento si pronunci decisamente perché venga sciolto un altro nodo cruciale, quello di una ricollocazione proporzionalmente equa degli immigrati nei vari Paesi della Ue, secondo gli impegni sottoscritti a suo tempo. Al punto in cui è giunto il flusso di persone in fuga dall’Africa nord-occidentale e da altre regioni, non è più accettabile che siano solo l’Italia e in misura minore la Grecia (dopo la chiusura della rotta balcanica) a farsi carico quasi per intero dell’ospitalità e dell’integrazione di profughi e migranti. Il nostro Paese seguiterà, beninteso, a soccorrere in mare la gente imbarcata in fragili scafi da loschi trafficanti e abbandonata a se stessa non appena in arrivo in acque internazionali. Ma se questo compito è doveroso, appare tuttavia esorbitante e sempre più insostenibile con strutture ricettive ormai al collasso. D’altronde, secondo il commissario europeo alle immigrazioni, l’80% degli stranieri approdati in Italia sono classificabili per “motivi economici” e da considerare quindi degli “irregolari” da rimpatriare.
Senonché è calata frattanto una coltre di silenzio da Bruxelles sulla proposta del governo Renzi di porre mano a un piano coordinato di aiuti ai Paesi di maggior provenienza degli immigrati affinché creino al loro interno più opportunità di lavoro per trattenerli in patria. E nemmeno nei lavori del Consiglio europeo del 15 dicembre è stato dedicato alcun spazio alla questione dell’emergenza migratoria.