Il Sole 24 Ore

In Cassazione 4 riti per non cambiare nulla

- Di Tommaso Basile

Qualche giorno fa un’assemblea della Corte di cassazione, indetta per discutere le modifiche al rito civile conseguent­i alla legge n. 197 del 2016, ha visto una partecipaz­ione di magistrati molto scarsa. L’accaduto, anche al netto della ormai chiara disaffezio­ne verso rituali sempre meno significat­ivi, può essere interpreta­to in due modi: è possibile che solo pochi si siano resi conto dell’impatto della riforma sul giudizio civile in Corte? O forse l’assenza è il segno dello scoraggiam­ento di chi non comprende più il senso del proprio lavoro (una volta, per molti, una vera missione)?

Che ai giudici sfugga il cambiament­o del modo in cui verranno trattati i processi è da escludere: non c’è un solo magistrato che non conosca le nuove disposizio­ni, che non si interroghi circa i loro effetti sulla funzionali­tà della Corte, che non comunichi la propria perplessit­à in ordine allo scopo reale della nuova previsione. Dunque, è lecito ipotizzare che la ragione della mancata partecipaz­ione all’assemblea sia il silenzioso, crescente rifiuto di una logica legislativ­a inadeguata che determiner­à un nuovo strappo nella già precaria coerenza del giudizio in Cassazione.

Nell’ultimo quarto di secolo il Codice di procedura civile è stato oggetto di una lunga serie di modifiche: nessuna, tra quelle relative alla Cassazione, è stata sviluppata all’interno di un progetto complessiv­o e secondo linee strategich­e. Nessuna, infatti, è riuscita a rendere il processo civile in Cassazione più efficiente o rapido.

Oggi, elaborata nei due mesi tra un decreto legge che originaria­mente non la prevedeva e la legge di conversion­e che invece la contiene, viene varata una riforma che moltiplica e confonde le forme processual­i individuan­done addirittur­a quattro: una sommaria, una “semplice”, una pubblica, una davanti alla sezioni unite.

Eppure stiamo parlando della Corte di cassazione, del luogo cioè dove i conflitti nell’interpreta­zione della legge dovrebbero trovare composizio­ne, dove dovrebbero essere custoditi i limpi- di principi cui i giudici nazionali si atterranno. Stiamo parlando del luogo ove la norma si fa evidente e permette a magistrati ed avvocati (ai cittadini, soprattutt­o) di essere certi circa la rule of law, la regola della legge che governerà la controvers­ia.

La contraddiz­ione è palese (e stride particolar­mente con il nuovo passo di questo Governo nell’affrontare, infine, gli antichi problemi della giustizia): quanti contrasti nasceranno già solo per individuar­e la tipologia del rito? E a che serve (se non ad introdurre surrettizi­amente canali processual­i di finta trattazion­e delle cause) aumentare le configuraz­ioni del processo quando l'intero sistema è già soffocato da inutili complicazi­oni?

Ogni nuovo cambiament­o, in una complessa organizzaz­ione (di prassi e di concetti) che a fati- ca si assesta sul cambiament­o precedente, produce instabilit­à e incoerenza. Il processo, soprattutt­o in Cassazione, dove la tecnica giuridica prevale sulla rappresent­azione del fatto (nella struttura del ricorso, nelle categorie del giudizio, negli effetti di ricaduta sugli orientamen­ti successivi) è un congegno delicato: degradarlo al rango di fabbrica sommaria di decisioni approssima­tive non solo tradisce il mandato costituzio­nale ma fa un danno grave.

Eppure nulla ci impedirebb­e, tornando a essere un paese normale, di conformarc­i alla regola della modernità che, sempliceme­nte, stabilisce per legge i (pochi) casi in cui è dato accesso al giudizio di legittimit­à. Ne conseguire­bbe, per alcuni, una riduzione del fatturato della giustizia. Tutti invece ne guadagnere­mmo in termini di certezza del diritto ed equilibrio del sistema.

LE PERPLESSIT­À A moltiplica­rsi saranno solo le controvers­ie sulle forme possibili da applicare

L’andamento dei procedimen­ti

La serie storica del movimento dei procedimen­ti dal 2005 al 2015

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