Stop agli incontri col padre se la figlia non vuole vederlo
a volontà di un figlio quindicenne di non vedere un genitore poco sincero e poco amorevole è giuridicamente rilevante. Quindi il giudice può anche disporre che genitore e figlio non si vedano, almeno fino a quando la situazione resta immutata. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 20107/16, confermando una pronuncia della Corte di appello di Milano, che aveva “sospeso” gli incontri genitoriali tra una ragazza di 15 anni ed il proprio padre.
Alla base della sentenza c’è un elemento attualmente certo: la volontà, dichiarata da una ragazza «ormai nel suo quindicesimo anno di età e che aveva espresso una posizione, decisamente chiara ed argomentata, circa la sua indisponibilità, attuale, alla partecipazione ad un progetto di riavvicinamento con il padre».
Nel rigettare il ricorso paterno la Cassazione osserva come il giudice di merito abbia attentamente valutato il provvedimento di sospensione degli incontri padre-figlia rilevando come la ragazza, per giustificare tale sua indisponibilità, avesse riferito puntualmente ai servizi sociali di «sentirsi ferita dalla poca attenzione dedicatale dal padre che, in questi anni, si era limitato a mandarle alcuni sms ed a farle sporadiche telefonate».
Alla luce di questa situazione, i giudici ritengono che un riavvicinamento potrà avvenire solo su basi spontanee e non perché dettate da magistrati e servizi sociali. Al contrario, una vera ripresa di normali legami tra i due potrà essere resa finalmente possibile «da una prova d’interesse sincero ed amorevole, da parte del padre».
Ancora, nel completare il quadro di solidità della sentenza della Corte di appello, i guidici della Cassazione osservano come, correttamente, la pronuncia «abbia previsto uno specifico incarico ai servizi» che si sostanzia nel fornire supporto «alla figlia con riferimento alle richieste … di riprendere i contatti con il padre, parallelamente di fornire al padre ... il supporto per poter individuare la migliore strategia per recuperare la relazione con la figlia ed infine, alla madre, per poter adottare una condotta che favorisca tale recupero».
In buona sostanza, la Cassazione giunge ad affermare come la sentenza della Corte d’appello di Milano sia meritevole di passare indenne il proprio vaglio in quanto «si tratta di una decisione incentrata sulla valutazione dell’interesse della minore e sulla valorizzazione della sua capacità di autodeterminazione ed improntata a favorire quel recupero della relazione padre-figlia che, secondo la valutazione svolta, potrebbe essere ulteriormente pregiudicata, dall’imposizione di mutamenti nel regime di affidamento e di percorsi terapeutici e incontri obbligati».
Tali approfondimenti - riportati nelle sopra-ricordate precisazioni - non possono che escludere la sussistenza del lamentato vizio di «omesso esame di fatti rilevanti ai fini della decisione, da adottare sull’affidamento della minore e sulle sue relazioni con il padre».
Il ricorso presentato dal padre lamentava anche un comportamento ostativo, asseritamente posto in essere dalla madre. Tale circostanza, secondo il ricorrente, avrebbe rinforzato l’atteggiamento oppositivo della figlia nei suoi confronti . Riguardo a questo aspetto della vicenda, il giudice della legittimità ha confermato che fosse rilevante, ma non dovesse essere trattato nell’ambito dello stesso giudizio. Infatti, la Cassazione osservato come la Corte di appello di Milano, proprio non considerandolo marginale, correttamente avesse rilevato come la sua valutazione fosse, invero, da svolgersi nel separato giudizio di responsabilità.