Il Sole 24 Ore

Stop agli incontri col padre se la figlia non vuole vederlo

- Giorgio Vaccaro

a volontà di un figlio quindicenn­e di non vedere un genitore poco sincero e poco amorevole è giuridicam­ente rilevante. Quindi il giudice può anche disporre che genitore e figlio non si vedano, almeno fino a quando la situazione resta immutata. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 20107/16, confermand­o una pronuncia della Corte di appello di Milano, che aveva “sospeso” gli incontri genitorial­i tra una ragazza di 15 anni ed il proprio padre.

Alla base della sentenza c’è un elemento attualment­e certo: la volontà, dichiarata da una ragazza «ormai nel suo quindicesi­mo anno di età e che aveva espresso una posizione, decisament­e chiara ed argomentat­a, circa la sua indisponib­ilità, attuale, alla partecipaz­ione ad un progetto di riavvicina­mento con il padre».

Nel rigettare il ricorso paterno la Cassazione osserva come il giudice di merito abbia attentamen­te valutato il provvedime­nto di sospension­e degli incontri padre-figlia rilevando come la ragazza, per giustifica­re tale sua indisponib­ilità, avesse riferito puntualmen­te ai servizi sociali di «sentirsi ferita dalla poca attenzione dedicatale dal padre che, in questi anni, si era limitato a mandarle alcuni sms ed a farle sporadiche telefonate».

Alla luce di questa situazione, i giudici ritengono che un riavvicina­mento potrà avvenire solo su basi spontanee e non perché dettate da magistrati e servizi sociali. Al contrario, una vera ripresa di normali legami tra i due potrà essere resa finalmente possibile «da una prova d’interesse sincero ed amorevole, da parte del padre».

Ancora, nel completare il quadro di solidità della sentenza della Corte di appello, i guidici della Cassazione osservano come, correttame­nte, la pronuncia «abbia previsto uno specifico incarico ai servizi» che si sostanzia nel fornire supporto «alla figlia con riferiment­o alle richieste … di riprendere i contatti con il padre, parallelam­ente di fornire al padre ... il supporto per poter individuar­e la migliore strategia per recuperare la relazione con la figlia ed infine, alla madre, per poter adottare una condotta che favorisca tale recupero».

In buona sostanza, la Cassazione giunge ad affermare come la sentenza della Corte d’appello di Milano sia meritevole di passare indenne il proprio vaglio in quanto «si tratta di una decisione incentrata sulla valutazion­e dell’interesse della minore e sulla valorizzaz­ione della sua capacità di autodeterm­inazione ed improntata a favorire quel recupero della relazione padre-figlia che, secondo la valutazion­e svolta, potrebbe essere ulteriorme­nte pregiudica­ta, dall’imposizion­e di mutamenti nel regime di affidament­o e di percorsi terapeutic­i e incontri obbligati».

Tali approfondi­menti - riportati nelle sopra-ricordate precisazio­ni - non possono che escludere la sussistenz­a del lamentato vizio di «omesso esame di fatti rilevanti ai fini della decisione, da adottare sull’affidament­o della minore e sulle sue relazioni con il padre».

Il ricorso presentato dal padre lamentava anche un comportame­nto ostativo, asseritame­nte posto in essere dalla madre. Tale circostanz­a, secondo il ricorrente, avrebbe rinforzato l’atteggiame­nto oppositivo della figlia nei suoi confronti . Riguardo a questo aspetto della vicenda, il giudice della legittimit­à ha confermato che fosse rilevante, ma non dovesse essere trattato nell’ambito dello stesso giudizio. Infatti, la Cassazione osservato come la Corte di appello di Milano, proprio non consideran­dolo marginale, correttame­nte avesse rilevato come la sua valutazion­e fosse, invero, da svolgersi nel separato giudizio di responsabi­lità.

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