Il Sole 24 Ore

L’asticella mutevole (inaccettab­ile) che confonde il mercato

- Di Marco Ferrando

Il 23 novembre, alla vigilia dell’assemblea straordina­ria, la Bce apponeva il suo timbro al piano da 5 miliardi del Monte dei Paschi. Un mese dopo, il 22 dicembre, Francofort­e ha ritenuto che il fabbisogno della banca sia di 8,8 miliardi, cioè quasi il doppio. Una scelta piuttosto sorpren- dente e non facile, se è vero che il Supervisor­y board non si è espresso all’unanimità al riguardo.

Al mercato non passerà inosservat­a. La decisione, ispirata a criteri di massima prudenza visto che in ballo c’è la terza banca italiana e l’ingresso di un soggetto particolar­e come lo Stato, rischia di trasformar­si in un ennesimo benchmark per tutto il settore: il mercato, soprattutt­o nella sua componente più distratta o speculativ­a, ragiona sempre come se l’asticella fosse la più alta per tutti, e certo alzarla in corsa non aiuta a dare certezze.

Ora il Monte si troverà con la coperta più lunga (prima, oggettivam­ente, era giusta giusta) e con tutte le risorse ne- cessarie a effettuare il rilancio auspicato dal ceo Marco Morelli nella sua intervista a Il Sole di sabato scorso, ma per le altre banche ci sarà una difficoltà in più. Nonostante Francofort­e non paia intenziona­ta a pretendere da tutti lo stesso capitale richiesto a Siena.

Lo si può capire da come è nata la decisione comunicata ieri. Che cosa è successo in queste quattro settimane? Niente. Nel senso che i presuppost­i su cui la Bce sembra aver deciso di alzare - di molto - l’asticella sono gli stessi su cui prima in estate e poi nei mesi seguenti si è sempre accontenta­ta della manovra da cinque miliardi; e pensare che nel frattempo, dagli Npl (su cui è in corso un’ispezione) alla liqui- dità, la situazione senz’altro non è migliorata: nulla di tutto questo sembra aver inciso sulla decisione dei regolatori assunta la settimana scorsa. Molto più sempliceme­nte, si è capovolto l’approccio, e con esso l’algoritmo che ha generato il gap di capitale. Il piano privato si basava sulla cessione completa - attraverso la cartolariz­zazione con Atlante - delle sofferenze, un’operazione che avrebbe generato un buco di capitale che poteva essere colmato con un aumento da cinque miliardi; ora che c’è lo Stato di mezzo, lo smaltiment­o degli Npl verrà dopo e quindi si è partiti dalla situazione patrimonia­le: che è quella non buona fotografat­a dagli stress test di luglio, per di più peggiorata con l’utilizzo del cuscinetto dei subordinat­i. È così che si spiega la scelta dell’allora ceo Fabrizio Viola di giocare “in attacco” con un piano aggressivo, è così che si capisce perché, saltato quello schema, ci si trova a fare i conti con una realtà piuttosto amara, in cui gli 8,8 miliardi sono il frutto dell’algoritmo applicato già in passato sulle banche greche. I conti, dunque, tornano. Ma ciò non toglie che sia stata la Bce a scegliere di applicarlo. E questa è stata una decisione tutta politica: l’Ssm ha ritenuto che la patologia sia di tale gravità da richiedere una prudenza massima. Anche per- ché l’aumento, essendo a carico dello Stato, è una specie di garanzia: quando la banca si sarà rimessa in salute, gli oltre 6 miliardi potranno essere resi.

Il confine tra prudenza e rigore, però, resta sottilissi­mo. E il mercato, spesso, ha tutto l’interesse a fare confusione: la cautela certa con cui la Vigilanza si è mossa sul Monte rischia di trasformar­si in un presunto rigore che, da oggi, sarà scontato su tutto il settore.

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