Il Sole 24 Ore

Legge elettorale, partiti in ordine sparso

Sistema di voto. Se con la pronuncia della Corte non si avrà un sistema omogeneo Camera-Senato, trovare un accordo non sarà facile Pd punta su Mattarellu­m o sulla legge che uscirà dalla Consulta, Fi sul proporzion­ale, M5S sul modello spagnolo

- Emilia Patta

pDue le date della ripresa post natalizia da tenere a mente per capire la strada che prenderà il dibattito politico e con esso il destino della legislatur­a. Ed entrambe le date hanno a che fare con la Corte costituzio­nale: l’11 gennaio si esprimerà sull’ammissibil­ità dei tre quesiti per abrogare il Jobs act presentati dalla Cgil, mentre il 24 gennaio è attesa la sentenza sui ricorsi contro l’Italicum. La riforma del lavoro e la riforma elettorale, evidenteme­nte non legate tra loro ma legate dal filo rosso che determiner­à la data delle prossime elezioni politiche.

Come è noto la maggioranz­a del Pd, con il suo leader Matteo Renzi, è orientata ad andare al voto il prima possibile, realistica­mente a giugno dopo lo svolgiment­o del G7 a Taormina. Una posizione sulla quale Renzi ha portato tutte le anime del partito che sostengono la sua leadership, ma le resistenze a precipitar­si alle urne sono comunque molte. Il primo snodo è allora quello dell’11 gennaio: se la Consulta deciderà di ammettere i quesiti sulla riforma del lavoro (i più rilevanti riguardano l’articolo 18 e i voucher) la spinta ad andare alle urne in primavera sarebbe più forte: perché in caso di elezioni anticipate il referendum, che normalment­e si dovrebbe tenere in primavera, slitterebb­e di un anno. E nessuno in casa democratic­a ha intenzione di rischiare un’altra sconfitta referendar­ia dopo quella del 4 dicembre scorso sulla riforma costituzio­nale. Se invece la Consulta non dovesse ammettere i quesiti - e secondo i costituzio­nalisti e i giuslavori­sti vicini al governo potrebbe farlo, visto che il quesito sull’articolo 18 non si limita a ripristina­re la normativa ante Jobs Act ma mira ad estendere la tutela del reintegro alle imprese con più di 5 dipendenti - la spinta a tornare presto alle urne si indebolire­bbe. Ed è per questo che fonti parlamenta­ri sostengono che alla fine, proprio per favorire la stabilità, i quesiti non saranno ammessi.

La seconda data, quella del 24 gennaio, è la data cruciale per la definizion­e della legge elettorale. E anche per il destino della legislatur­a, dal momento che il Capo dello Stato ha più volte ricordato che conditio sine qua non per sciogliere le Camere - e il voto il prima possibile non è auspicato solo dal Pd, ma anche dal M5S e dalla Lega - è avere una legge elettorale omogenea nei due rami del Parlamento. Il tentativo di avviare la discussion­e sulla legge elettorale in commission­e Affari costituzio­nali della Camera prima di Natale, tentativo portato avanti dalla Lega e da Sinistra italiana, è per altro stato bloccato da un inedito asse tra Pd, Fi e M5S: se ne riparla, appunto, dopo il 24 gennaio. Ma sono proprio i tre partiti maggiori ad avere ricette diversissi­me in materia di legge elettorale, la qual cosa impedisce di immaginare un accordo anche dopo la sentenza della Consulta. Renzi ha proposto il ritorno ai collegi uninominal­i del Mattarellu­m con la consideraz­ione che è l’unico sistema maggiorita­rio che funziona (e ha funzionato, in effetti, tra il ’94 e il 2001) in regime di sopravviss­uto bicamerali­smo paritario. In favore del Mattarellu­m, tuttavia, si è schierata solo la Lega di Salvini, con FdI di Meloni al seguito, mentre la legge che porta il nome del presidente della Repubblica è stata bocciata sia da Silvio Berlusconi sia dai grillini. Il leader di Fi punta a un sistema proporzion­ale con sbarrament­o al 4 o 5%, come in Germania, così da rendersi autonomo dall’alleanza con i “lepenisti” Salvini e Meloni, per la formazione di un governo di grande coalizione alla tedesca con il Pd. Il M5s ha avuto, dopo la vittoria del No al referendum, una posizione oscillante: inizialmen­te ha proposto di andare alle elezioni con l’Italicum senza attendere la Consulta, poi ha proposto di estendere l’Italicum così come sarà rivisitato dalla Consulta anche al Senato. E comunque per i grillini resta sul tavolo la loro proposta, il Toninellum, che è un proporzion­ale “corretto” con soglia implicita sul modello spagnolo.

Partiti in ordine più che sparso, insomma. Proprio in previsione di ciò Renzi ha portato il Pd, almeno per ora, su una posizione che esclude vie di mezzo: o si torna al Mattarellu­m o si recepisce la sentenza della Consulta con decreto in modo da poter tornare alle urne. Quello che il leader del Pd vuole evitare è appunto una lunga (e viste le premesse inconclude­nte) trattativa tra i partiti a partire dal 24 gennaio. Tuttavia non è detto che la sentenza della Consulta, che sarà comunque autoapplic­ativa dal momento che il Paese non può restare senza legge elettorale, consegni un sistema omogeneo per i due rami del Parlamento come da condizione posta da Mattarella per sciogliere le Camere. I giudici costituzio­nali potrebbero ad esempio limitarsi a cancellare il ballottagg­io nazionale tra le prime due liste previsto dall’Italicum nel caso in cui nessuna arrivi al 40% e lasciare invece il premio di maggioranz­a per la lista che superi quella soglia. In questo modo si avrebbero due sistemi non omogenei, dal momento che il Consultell­um in vigore per il Senato non prevede premi di maggioranz­a ma solo soglie di sbarrament­o: 8% per i partiti che corrono da soli e 3% per i partiti coalizzati. Per la Camera resterebbe inoltre un sistema basato sulla competizio­ne tra liste e non tra coalizioni, mentre per il Senato il sistema di soglie variabili incentiva la formazione delle coalizioni. Insomma, attendere la decisione dei giudici costituzio­nali per recepirla e andare alle urne, come è intenzione di Renzi, potrebbe non bastare. Riportando le varie pedine alla casella di partenza.

LE DUE DATE CHIAVE Cruciali per il destino della legislatur­a la decisione della Consulta sull’ammissibil­ità del Jobs act l’11 gennaio e il verdetto sulla legge elettorale il 24

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