Il Sole 24 Ore

Recuperare coesione per rilanciare il Sud e competere al Nord

- di Aldo Bonomi bonomi@aaster.it

Tempi di turbolenza, indotti da una globalizza­zione che da espansiva si è fatta selettiva. Il che induce riposizion­amenti nello spazio di posizione geoeconomi­ca e geopolitic­a. Si guarda in alto alle urgenze dei governi, alle grandi città, all’Europa. Poi, basta un referendum, non solo in Italia, a ricordarci che i flussi della globalizza­zione selettiva impattano sul territorio, e su ciò che sta in mezzo tra flussi e luoghi.

Non sarà un caso se, metamorfos­i semantica, nel Governo Gentil on ifa capolino la parola“coesione” dopo annidi retorica di disinterme­diazione. È infatti anche sulla capacità dei sistemi di “intermedia­re” tra flussi e luoghi che occorre concentrar­si, e non, come purtroppo si tende a fare, sulla capacità di agevolare una dis intermedia­zione che, come tutti i processi sociali, se non governata produce più danni che benefici anche nel tessuto economico, specie nel contesto di una globalizza­zione selettiva che erode la coesione. Coesione per sopravvive­re a Sud, visti i dati alla greca del Mezzogiorn­o, e coesione per competere nel Centro Nord. Quest’ultima ha il suo epicentro in Lombardia che vale, in termini di Pil relativo (20,7% per Eurostat nel 2014) ciò che vale la grande Londra per la Gran Bretagna o la Renania Settentrio­nale-Vestfalia per la Germania. La Lombardia è infatti uno dei grandi motori economici dell’Europa e, a seconda del punto di vista, può essere considerat­a la più “grande” delle regioni italiane o una del gruppo delle più “piccole” nel contesto delle grandi regioni economiche europee. E ciò vale anche dal punto di vista delle performanc­e. Nell’arco del decennio 2005-2014 (sempre dati Eurostat sul P il) cresce più della media italiana ma meno( molto meno) della media delle regioni europee più importanti: +12,2% del Pil rispetto al +23,5% della Renania-Vetsfalia, al +32,1% della Baviera; ma, soprattutt­o, -0,5% in termini di occupati rispetto al +7,4% e al +11,9% delle due regioni tedesche che condividon­o con la Lombardia una quota di addetti alla manifattur­a simile.

Ciò che non è simile è, storicamen­te, il modello sociale di capitalism­o. Là un modello tutto in grande: grande impresa, grandi banche, grande concertazi­one, grande stabilità istituzion­ale, qui un modello fatto da una microfisic­a di relazioni di filiera, di relazioni con il mondo del credito, di pluralità e frammentaz­ione della rappresent­anza, di articolazi­one locale delle autonomie funzionali (Camere di commercio e Università). In entrambi i casi, quale che sia il modello con i suoi pro e contro, la misura della sua efficacia non deve essere ridotta a una semplice questione di “dimensioni” quanto, a mio modo di vedere, in termini di capacità di “stare in mezzo” e governare il rapporto trala sfera competitiv­a globale dei flussi eip articolari assetti produttivi locali. In questo scenario, alla luce dei processi di ristruttur­azione dell’apparato produttivo e della crescente importanza strategica assunta dal capitalism­o delle reti che presidia (intermedia) la circolazio­ne di denaro, merci, energia, persone, saperi e informazio­ni, prendono corpo quelle che io chiamo da tempo “piattaform­e territoria­li”. Nel caso della Lombardia se ne delineano quattro: la città metropolit­ana di Milano, porta nazionale e regionale dei flussi in entrata e in uscita; la pedemontan­a lombarda che si snoda da Malpensa a Brescia, architrave del sistema manifattur­iero regionale e principale asset nazionale insieme alle piattaform­e della pedemontan­a veneta e della via Emilia; la piattaform­a della bassa padana, cuore dell’agroindust­ria high tech e della logistica alla Amazon; la piattaform­a alpina, serbatoio ambientale e luogo di intreccio tra turismi, tradizioni e qualità della vita.

A mio modesto avviso il tentativo di governo (governance) della dialettica tra flussi e luoghi dovrebbe essere posto a questo livello, né sotto, dove non c’ è mass acritica per influire realmente sui processi, né sopra, dove si rischia di perdere di vista l’orizzonte strategico legato alle vocazioni produttive e alle traiettori­e dello sviluppo. Da questo punto di vista mi pare di poter dire che se è vero che c’è stato un eccesso di disinterme­diazone, è anche vero che la spinta auto-riformatri­ce dal basso non è stata più illuminata o più attiva nell’aggregare soggetti e aprire nuove relazioni. Tan-

L’EVOLUZIONE Una necessaria opera di “rammendo” dopo anni all’insegna di una eccessiva disinterme­diazione

to è vero che mentre assistiamo a una riconfigur­azione accelerata verso l’alto, verso il cielo dei flussi, del capitalism­o delle reti: banche, utilities, servizi Ict e Tv, reti infrastrut­turali e hub aeroportua­li, non assistiamo ad alcun gioco di contro-bilanciame­nto (si chiama democrazia economica all’epoca dei flussi) per accompagna­re il radicament­o di questi asset strategici nel cuore produttivo delle quattro piattaform­e, con parziale eccezione della città metropolit­ana nella sua specifica funzione di gate, alla quale, non a caso, un po’ tutti i territori contigui cercano di aggregarsi (da Rho a Treviglio, da Lodi a Vigevano). Questo compito di ri-bilanciame­nto dovrebbe essere preso in carico anche dalle rappresent­anze territoria­li degli interessi delle imprese, del lavoro e delle profession­i, dalle Camere di commercio e da ciò che saranno le cosiddette Aree vaste. In questo accompagna­te anche dalla Regione, per altro essa stessa, in quanto entità amministra­tiva, alla ricerca di nuovi spazi di legittimaz­ione istituzion­ale tra centro e periferia. Qualche segnale in questo senso pare di coglierlo nell’accordo di programma firmatot ra Regione Lombardia e sistema camerale regionale, poi si tratterà di capire cosa tale programma sarà in grado di produrre anche nell’ ottica di influire sull’evoluzione delle forme di governanc ed elle piattaform­e territoria­li, vero spazio di ricucitura possibile di un tessuto economico e sociale in cerca di coesione. Qui si tratta di prendere in prestito il pacato invito al“rammendo” evocato da Renzo Piano in relazione al tessuto delle periferie urbane e sociali. Occorre accompagna­re la trasformaz­ione delle relazioni sociali che provano a rammendare il tessuto lacerato della microfisic­a dei poteri in cerca di un nuovo spazio di rappresent­azione tra flussi e luoghi, tra centri e periferie.

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