Il Papa: «Il mondo odia i cristiani»
Èil giorno del ricordo dei martiri cristiani che ancora nel mondo vengono uccisi in odio alla fede. In Medio Oriente, Africa e Asia, soprattutto. È il giorno della festività di Santo Stefano, primo martire della storia, e il Papa, nell’Angelus che conclude le celebrazioni del periodo natalizio, ricorda questa ferita sempre aperta e tragica: «Il mondo odia i cristiani per la stessa ragione per cui ha odiato Gesù, perché Lui ha portato la luce di Dio e il mondo preferisce le tenebre per nascondere le sue opere malvagie», ha detto. «C’è opposizione tra la mentalità del Vangelo e quella mondana. Seguire Gesù vuol dire seguire la sua luce, che si è accesa nella notte di Betlemme, e abbandonare le tenebre del mondo». Per il Papa anche oggi la Chiesa, per rendere testimonianza «alla luce e alla verità, sperimenta in diversi luoghi dure persecuzioni, fino alla suprema prova del martirio. Quanti nostri fratelli e sorelle nella fede - ha denunciato - subiscono soprusi, violenze e sono odiati a causa di Gesù! Oggi vogliamo pensare a loro ed essere vicini a loro con il nostro affetto, la nostra preghiera e anche il nostro pianto». Parole che ricordano quanto accade da anni in Siria, in Iraq («Nel giorno di Natale, i cristiani perseguitati nell’Iraq hanno celebrato il Natale nella loro cattedrale distrutta: è un esempio di fedeltà al Vangelo. Essi testimoniano con coraggio la loro fedeltà a Cristo», ha ricordato) ma anche in Nigeria, in India, in Egitto: «Vi dico una cosa: i martiri di oggi sono maggiori nel numero rispetto ai martiri dei primi secoli. Quando leggiamo la storia leggiamo tanta crudeltà verso i cristiani, la stessa c’è oggi, ma in numero maggiore, verso i cristiani. Nel fare spazio dentro il nostro cuore al Figlio di Dio che si dona a noi nel Natale, rinnoviamo la gioiosa e coraggiosa volontà di seguirlo fedelmente come unica guida, perseverando nel vivere secondo la mentalità evangelica e rifiutando la mentalità dei dominatori di questo mondo».
Un discorso, quello di ieri, in stretta continuità sia con l’omelia della notte di Natale sia con il messaggio del 25 dicembre prima della benedizione Urbi et Orbi. Discorsi che hanno richiamato il troppo sangue versato nelle guerre. Il Santo Padre ha citato i molti conflitti – a partire dalla martoriata Aleppo e in molte aree del Medio Oriente, tanto che l’amministratore apostolico di Gerusalemme, l’arcivescovo Pizzaballa ha parlato di «completa tragedia» - e le situazioni di forte tensione, comprese Ucraina, Corea, Myanmar, Congo, Yemen e Libia. Un’omelia di forte respiro “pastorale” internazionale – compresa la condanna del terrorismo - che ha tenuto insieme anche il dramma dei rifugiati: «Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia, ma lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide “mangiatoie di dignità”: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti». Infine ieri il Papa ha espresso «viva condoglianza per la tragica notizia dell’aereo russo precipitato nel Mar Nero. Il Signore consoli i familiari delle vittime: giornalisti, equipaggio e i membri dell'eccellente coro e orchestra dell’Armata Rossa. Nel 2004 il coro si esibì in Vaticano per il 26esimo anniversario del pontificato di san Giovanni Paolo II. La Vergine Maria sostenga gli sforzi di quanti sono impegnati nelle ricerche».
Le parole di pace e riconciliazione inevitabilmente si intrecciano in questi giorni con l’ormai prossimo nono congresso dei rappresentanti cattolici cinesi, che si aprirà oggi e terminerà giovedì a Pechino. L’assise è convocata dopo sei anni e acuisce le differenze di opinione all’interno del mondo cattolico cinese - sono circa 12 milioni i fedeli - specie tra chi è contrario al dialogo tra Roma e Pechino, dossier che segue direttamente il segretario di Stato, Pietro Parolin, e chi invece sostiene la linea del Papa di proseguire il dialogo con le autorità cinesi per arrivare a un’intesa e forse anche al riallaccio delle relazioni diplomatiche, ufficialmente interrotte dal 1951. «Riteniamo che questo congresso possa favorire un’ulteriore integrazione delle attività della Chiesa cattolica nella società e nella cultura cinesi», ha dichiarato la portavoce Hua Chunying, assicurando che Pechino «è ben disposta» verso la Santa Sede.