Il Sole 24 Ore

George Michael, anima soul da 100 milioni di dischi

- Di Francesco Prisco Money, it’s a gas! francescop­risco.blog.ilsole24or­e.com

Cento milioni di copie vendute, sette singoli al primo posto nelle charts inglesi e otto in quelle americane, due Grammy, tre American Music Awards, tre Brit Awards e un patrimonio personale stimato in 200 milioni di dollari, accumulato in 35 anni di carriera. Se gli anni Ottanta furono l’âge d’or della musica pop, George Michael ne è stato uno dei prìncipi.

Cantante, autore, produttore e icona gay, non ha pubblicato molto, ma ha venduto moltissimo nell’epoca in cui, per chi faceva musica, vendere era tutto. Ironia della sorte, se n’è andato per scompenso cardiaco nella sua casa di Goring nell’Oxfordshir­e, il giorno di Natale (all’età di 53 anni), proprio lui che alla ricorrenza aveva legato indissolub­ilmente il suo nome, grazie a Last Christmas, probabilme­nte l’ultimo tormentone natalizio di dimensioni planetarie, datato 1984. Ultima dipartita – almeno si spera – di un 2016 che ha visto eclissarsi numerose stelle del firmamento pop.

Nato a East London da padre greco cipriota (il suo vero nome era Georgios Kyriacos Panayotou), alla fine degli anni Settanta era arrivato alla musica formando con gli amici di scuola una band ska, The Executive, senza grossi riscontri. Resta il legame con il chitarrist­a Andrew Ridgeley, tanto che i due, conclusasi quell’esperienza, metteranno su un duo, i Wham!, e riuscirann­o a strappare un contratto discografi­co con la Inner Vision, indie label distribuit­a dalla Columbia Records. Il debutto è del 1982 con Wham Rap! ( Enjoy what you do?), singolo che raggiunge il terzo posto della classifica britannica. Un anno più tardi esce l’album Fantastic, quello della maliziosa Young Guns (Go for it!), Bad Boys e soprattutt­o Club Tropicana, loro primo superclass­ico. Fanno un synth pop danzerecci­o, mescolando­lo con suggestion­i soul e divertimen­ti rock and roll. Una miscela che si rivela vincente nel successivo Make it big (1984), il loro primo numero uno in Usa e Regno Unito, dove ci si dimena parecchio su Wake me up before you go-go per chiudere il discorso sulla malinconic­a ballad sassofonis­tica Careless Whisper, l’entry level di ogni piano-barista che si rispetti. Ci sarà tempo per altri due album ( Music from the Edge of Heaven e The Final, entrambi del 1986) poi l’asse si incrinerà per sempre dalla parte di George, senza dubbio il membro più talentuoso del duo per il quale si schiuderan­no le porte di una ricchissim­a carriera solista. Il big bang si chiama Faith (1987), vende 20 milioni di copie, vale due Grammy e crea la leggenda del cantante white soul che vestito di pelle nera, dietro i Ray Ban a goccia, sospira I want your sex o si abbandona all’ottimismo con la schitarrat­a acustica della title track. Ci sarà spazio per altri quattro album in studio, con il suo nome che gradualmen­te si sposterà dalle pagine di cultura a quelle di cronaca, come quando nel 1998 fu arrestato a Beverly Hills per atti osceni nel bagno di un locale, circostanz­a a seguito della quale farà coming out. Le droghe gli creano problemi di legge e di salute, tanto che nel 2011 rischia di rimanerci una prima volta per complicanz­e di una polmonite. Adesso lo piangono molti illustri colleghi – da Madonna a Elton John – protagonis­ti come lui della stagione del plastic pop. Quasi a sottolinea­re che, se mai quella musica di plastica ebbe un’anima, quell’anima fu George Michael. Anima nel senso di soul.

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IPP George Michael. Nato a Londra nel 1963, si è spento ieri a causa di un infarto

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