Piano per riaprire i centri d’identificazione
pTornano i Cie, i centri di identificazione ed espulsione. Mai abrogati, in realtà, ma di fatto diventati strutture in via di abbandono. Tanto che oggi in tutta Italia ci sono poco più di 300 posti occupati da immigrati clandestini. La procedura prevede entro 90 giorni dall’arrivo l’identificazione, da parte del consolato, della nazionalità presunta dello straniero, e poi il rimpatrio. I Cie furono istituiti nel 1998 dalla legge Turco Napolitano. Ma sono finiti presto nella bufera politica.
In questi giorni, con l’approdo di Marco Minniti al timone del dicastero dell’Interno, gli uffici ministeriali stanno studiando come ripristinare al più presto una serie di questi centri. Sul sito istituzionale (www.interno.it) l’elenco ufficiale dei Cie comprende Torino, Roma, Bari, Trapani e Caltanissetta. Altre strutture, come Gradisca d’Isonzo vicino Gorizia, erano Cie ma poi sono diventati centri di accoglienza. Ora sono in corso le verifiche e le valutazioni per far ripartire centri per l’identificazione e l’espulsione a Milano, Bologna, Potenza. In alcuni casi – come quello di Gradisca – tornando alla destinazione originaria. Al lavoro sono i due dipartimenti interessati del Viminale: Pubblica sicurezza, guidato da Franco Gabrielli, e Libertà civili e immigrazione, diretto da Mario Morcone. L’obiettivo è arrivare a una capienza di millemilleduecento posti. Saranno necessari alcuni mesi. In diversi casi occorre fare lavori complessi di ristrutturazione. Anche per riparare le distruzioni fatte durante una serie di proteste.
Il ritorno dei Cie, certo, non è risolutivo sull’intensità dei flussi migratori, giunti quest’anno a 180mila sbarchi, record assoluto. Ma non è neanche privo di conseguenze. In assenza di posti in questi centri, come accade quasi sempre ora, lo straniero privo del diritto di chiedere asilo, sbarcato e passato ai controlli di un hot spot, riceve un decreto di espulsione ma poi si rende irrintracciabile. Il trasferimento in un Cie consente invece alla Polizia di Stato di organizzare, se ci sono le condizioni, i voli di rimpatrio. Operazioni peraltro molto costose: solo di biglietto aereo, con- siderato che ogni immigrato deve essere accompagnato da due agenti, si spendono circa 7mila euro a straniero. I voli charter per mettere insieme un gruppo consistente di stranieri della stessa nazionalità di solito sono rifiutati dalle nazioni d’origine: danno troppo nell’occhio. Si va avanti, dunque, con voli di linea, ma per motivi di sicurezza i gruppi sono molto ristretti.
I rimpatri, peraltro, sono ipotizzabili se collaborano gli stati di origine. Oggi accade con la Tunisia, l’Egitto, il Marocco e la Nigeria; non accade o quasi con Ghana, Senegal, Costa d’Avorio e Nuova Guinea. La materia è sul tavolo del ministro Minniti: la verifica e il rilancio delle intese – o la stipula, dove non ci sono – con gli stati d’origine dei migranti è una priorità dichiarata dal responsabile del Viminale fin dal suo insediamento. Del re- sto non manca qualche punto di contatto tra la questione immigrazione e quella del terrorismo. Basta pensare che Anis Amri, l’autore della strage di 12 morti con un camion al mercatino di Natale a Berlino poi ucciso durate un controllo di due poliziotti a Sesto San Giovanni (Milano), era arrivato da clandestino in Italia, poi rinchiuso quattro anni nel carcere dell’Ucciardone di Palermo per una serie di delitti e infine assegnato al Cie di Caltanissetta. Non lo si è potuto rimpatriare in Tunisia, tra l’altro, perché il lasciapassare necessario è arrivato in ritardo da Tunisi.
Le relazioni con Marocco, Tunisia, Algeria e – per quanto possibile – Egitto sono dunque uno snodo fondamentale non solo per i flussi migratori ma anche per l’antiterrorismo; con motivazioni analoghe un capitolo a parte è quello della Libia. Di certo, il nuovo ministro dell’Interno intende dare segnali: va affrontato «il tema del contrasto all’immigrazione clandestina» tenuto conto, sottolinea Minniti nel video di auguri natalizi all’amministrazione dell’Interno, «di due punti di riferimento da avere sempre: solidarietà e sicurezza. Non ci può essere vera solidarietà - sottolinea - se non c’è sicurezza, né c’è sicurezza del tutto sganciata dal principio di solidarietà».
Il capitolo Cie non potrà essere esente da una verifica di natura politica. I centri di identificazione ed espulsione furono un cavallo di battaglia dei leghisti e Roberto Maroni quando era al Viminale, ne voleva istituire uno in ogni regione. Le polemiche furono interminabili, tuttora la sinistra è contraria e anzi i Cie sono, per esempio, obiettivo di lotta degli anarco-insurrezionalisti: un centinaio di loro il 6 dicembre si sono radunati per protesta a Torino. Oggi tuttavia il cosiddetto approccio “securitario” all’immigrazione fa parte anche delle valutazioni Pd. E la visione di Minniti, proveniente dall’esperienza di autorità delegata all’intelligence con i governi di Enrico Letta e Matteo Renzi, non può non tener conto della necessità di dare segnali per scoraggiare i flussi di clandestini.
RIAPERTURE In corso le verifiche per farli ripartire a Milano, Bologna e Potenza. Con questi centri la Polizia può organizzare più voli di rimpatrio