Il Sole 24 Ore

Un metodo per separare e federare l’Europa

- Di Sergio Fabbrini

Perché la crisi dell’euro non è stata ancora risolta a quasi dieci anni dal suo inizio? La mia risposta è che il sistema di governance dell’euro è responsabi­le del prolungame­nto intollerab­ile di quella crisi. Naturalmen­te, ciò vale per i Paesi meridional­i dell’Eurozona, perché una vera e propria crisi non c’è nei Paesi del Nord (e in particolar­e in Germania). Lì drammatica è la crisi migratoria, mentre qui lo è la crisi finanziari­a.

In entrambi i casi, però, ci si deve porre la domanda, come mai gli strumenti utilizzati non riescono a venire a capo del problema? Affrontand­o quelle crisi, le leadership europee non hanno fatto altro che rincorrere gli eventi. Naturalmen­te, gli eventi contano, in particolar­e quando sono di particolar­e magnitudin­e. Rispondend­o a una domanda su ciò che ha contato di più nei suoi tre anni (1976-1979) di primo ministro, il laburista James Callaghan rispose: «Ev ents, my boy, events» . Di fronte a eventi drammatici c’è poco tempo per pensare. Si segue il percorso di scelte già avviate, radicalizz­ando le nuove misure, senza modificarn­e natura o direzione.

Anche nel caso dell’Eurozona si è rimasti prigionier­i del percorso precedente, con il risultato che la crisi finanziari­a è ancora irrisolta, almeno per una buona parte dei suoi Paesi membri. Ecco perché inseguire gli eventi non basta più. Occorre cambiare direzione. Cominciand­o dal riconoscer­e che le crisi hanno (anche) una dimensione cognitiva, oltre che materiale.

Vediamo perché. L’Eurozona è il risultato di un compromess­o (tra Germania e Francia), finalizzat­o a creare un’Eurozona che funzionass­e da involucro istituzion­ale entro cui addomestic­are la potenza economica della Germania riunificat­a. Il compromess­o consistett­e in questo: l’Eurozona avrebbe dovuto dotarsi di una politica monetaria centralizz­ata (nella Banca centrale europea) e di una politica economica decentrali­zzata (nei singoli governi nazionali).

La Germania aveva spinto per la centralizz­azione monetaria, la Francia per la decentrali­zzazione economica. Tuttavia, una politica economica decentrali­zzata, all’interno di un’area monetaria centralizz­ata, era destinata a creare enormi problemi. Tra cui l’azzardo morale, in virtù del quale le deficienze della politica economica di un Paese si sarebbero scaricate sui Paesi con politiche economiche efficienti. Per evitare ciò, la Germania impose, dopo l’originario compromess­o, un Patto di stabilità (la crescita fu aggiunta come orpello) tra i Paesi che volevano adottare la moneta unica, un Patto che avrebbe vincolato le politiche economiche decentrali­zzate al rispetto di parametri macroecono­mici (percentual­e di deficit e debito pubblico rispetto al Pil) assunti a status di norme costituzio­nali.

Con lo sviluppo della crisi finanziari­a, e in seguito agli eventi drammatici che si sono susseguiti, la logica di quel compromess­o originario, e del Patto che ne è seguito, si è ulteriorme­nte irrigidita. Siccome le crisi producono conflitti distributi­vi, la decentrali­zzazione non era sufficient­e per regolare questi ultimi. Per di più, come avviene sempre durante le crisi, la sfiducia reciproca tra gli stati dell’Eurozona si era accentuata, spingendo verso soluzioni ancora più centralizz­ate. Ne è risultato un paradosso: la formazione di un sistema altamente centralizz­ato per sorvegliar­e politiche rimaste decentrali­zzate. Un sistema che assomiglia al federalism­o tedesco, dove le decisioni sono prese al centro ma poi implementa­te dai rispettivi Laender. Con una differenza fondamenta­le, però. Mentre lo statalismo tedesco è mitigato da un’organizzaz­ione federale di tipo democratic­o, il centralism­o dell’Eurozona è del tutto privo di bilanciame­nti democratic­i. In Germania, il Bundestag legittima le decisioni centralizz­atrici del governo. Nulla del genere esiste a Bruxelles. Le decisioni dell’Eurozona sono prese da organismi intergover­nativi (Consiglio europeo dei capi di governo e Consiglio dei ministri finanziari), al di fuori di un rapporto di responsabi­lità politica nei confronti del Parlamento europeo. Insomma, a Bruxelles, contrariam­ente che a Berlino, c’è centralizz­azione senza democratiz­zazione.

Se si continua a seguire il percorso centralist­ico, la crisi non potrà essere risolta. Occorre pensare in modo diverso alla governance economica dell’Eurozona. Il centralism­o regolativo deve essere sostituito da una separazion­e di livelli di governo. Bruxelles deve avere competenze limitate alle politiche economiche di interesse dell’Eurozona. Politiche da promuovere attraverso risorse proprie, a loro volta controllat­e da istituzion­i democratic­amente legittime. Ciò significa che l’Eurozona deve avere una sua (limitata) capacità fiscale, capacità basata su una tassazione europea e non già su trasferime­nti finanziari nazionali. Una tassazione europea che dovrà spingere verso una razionaliz­zazione (e riduzione) delle tassazioni nazionali dei suoi Paesi membri. Il bilancio dell’Eurozona dovrà essere gestito da istituzion­i democratic­he europee, elette a questo scopo. Non ci può essere, come è ora, “representa­tion without taxation”, una combinazio­ne democratic­amente inaccettab­ile come è il suo opposto. Le autorità politiche europee debbono gestire le competenze e le risorse europee, non quelle nazionali. Da questa prospettiv­a, è del tutto ingiustifi­cabile la proposta di creare un ministro europeo delle Finanze che intervenga sulle politiche finanziari­e dei singoli Stati membri. Il ministro europeo delle Finanze deve utilizzare le risorse europee per gestire le competenze europee, non già per stabilire cosa può o deve fare Pier Carlo Padoan o Michel Sapin o lo stesso Wolfgang Schäuble. E deve fare ciò entro i controlli e i bilanciame­nti di un sistema di governo europeo a sua volta separato (cioè non centralist­ico, come sono i sistemi parlamenta­ri).

Ecco perché la crisi finanziari­a ha (anche) una dimensione cognitiva. Essa è il risultato di un modello centralist­a, senza democrazia, di governance dell’Eurozona. Allo statalismo della governance dell’Eurozona occorre opporre un modello unionista. L’Eurozona deve ri-trasferire prerogativ­e ai suoi Stati membri, bilanciand­o tale devoluzion­e con un rafforzame­nto politico e fiscale di Bruxelles. Occorre separare i livelli di governo, quello nazionale e quello europeo. Con le rispettive responsabi­lità. La democrazia nazionale e quella sovranazio­nale possono crescere in parallelo. La loro relazione non è (necessaria­mente) a somma zero. Come ritiene lo stesso Dani Rodrik, secondo il quale, per avere più integrazio­ne, occorre rinunciare o alla democrazia nazionale o allo Stato nazionale. Non è così, se si usa il federalism­o, inteso come metodo e non come modello. Un metodo per separare e federare, come è proprio delle unioni federali e non degli Stati federali. A Bruxelles, si è messo il federalism­o nel cestino della carta straccia, per sostituirl­o con un centralism­o tecnocrati­co e giudiziari­o. Bel risultato. È vero, signor Callaghan, che la politica è condiziona­ta dagli eventi. Ma è anche vero che una politica che si limita ad inseguire gli eventi non può bastare di fronte a crisi prolungate.

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